venerdì 28 febbraio 2025

LA FRATTURA- DAMASCO -

Tramortito sulla via di Damasco ho seguito per molte settimane gli aquiloni del mio pensiero: colorati e bellissimi mi hanno ingannato sui molti aspetti della mia personalità, poi si sono sostituiti ad essa e mi hanno regalato l'assenza. Un blog può essere molte cose, mi domando quante riesca a contenerne. Siamo già un po' più in là o sono io ad avere le allucinazioni? Come si possa arrivare a questa frattura e come la si possa ricomporre non mi è noto. Il maschio virile non riesce a convivere con l'uomo pensante: due binari perfettamente lucidi e paralleli che mi indicano una direzione ambigua. Potrei percorrerli in ambedue le direzioni: una mi direbbe che ho perso alcune importanti occasioni e non ho visto quadri palesi, l'altra mi racconterebbe la favola di un possibile e lontanissimo futuro. E' come se il seme rifiutasse di riconoscere la sua pianta. Ho voglia di ripercorrere le strade che sembrano le solite, di sentire frusciare via le vostre parole. Quando l'assenza si ripresenterà sarò più pronto, sarà la fine o la guarigione.


Vorrei regalarvi qualcosa
che non avesse parentela
alcuna
con l'affetto
che fosse nemica giurata
della stima e della tranquillità.
Baciarvi i seni e
prendervi
ovunque mi assalisse la febbre
di farlo.

Non ditemi che tutto ciò non era
previsto,
non ditemi che volevate di più.
Vorrei spezzare le vostre braccia
che mi legano come
liane di selva
e blandiscono il mio cuore con
sorrisi senza fondo.

Lasciate che io mi sieda in mezzo
ai vostri occhi
e vi dica dove il grande mago
nasconde
il segreto che tende le nostre vite
le une sulle altre.
Quando saremo lì
potrà essere forse lo sgomento
di noi stessi
ad impedirci di contare tutti i modi
per parlare d'amore.

martedì 25 febbraio 2025

UN TRASTULLO PER POCHI INTIMI -

Rispetto la scrittura perchè meno effimera e trasformista della parola e spero che di molte cose scritte nel tempo non si perda il senso e la memoria sia che esse vengano vergate sulla Costituzione di uno stato nascente o sulle pagine di un testo sacro o su quelle virtuali di un blog. Me la tengo stretta questa speranza, essa sta diventando un trastullo per pochi intimi. Io credo che siamo solo nostri, che ciò che condividiamo con un sorriso di piacere resti nostro per sempre. Ci credo fermamente e se racchiudo in un solo fardello questi anni di scritture non c’è niente di cui riesca a vergognarmi, nessuna parola che non vorrei aver detto. Presentarmi degnamente davanti alla mia Signora. Di sera, tutte le sere della mia vita, la chiamo per dirle che quando verrà non avrò nessun timore, le scoprirò il viso e la bacerò sulla bocca, sentirò il suo seno contro di me e sarò libero, finalmente libero…

sabato 22 febbraio 2025

NON ESISTE UN LUOGO TRANQUILLO PER UN UOMO AGITATO -

Voi pensate che io scappi, invece sto fermo: una parte di me almeno è immobile, fa da volano a quell'altra che ho lanciato in giro per cercare un senso. Non uso una rete a strascico, troppo distruttiva e poco selettiva; piuttosto alcuni emissari, sub esperti, che stanno scandagliando gli abissi. Tornano in superficie e mi fanno un cenno con la testa...finora niente! Io nel frattempo sono stato richiesto dal direttore del liceo di mio figlio, col quale ebbi tempo fa un'accesa discussione di tenore letterario, di tenere una piccola conferenza su un argomento particolare. Ho accettato la "sfida" e sabato mattina davanti ad un'ottantina di ragazzi felici soprattutto di non far lezione, ho parlato e discusso per circa un'ora. Il canovaccio iniziale ve lo posto qui sotto. E' stata un'esperienza vivace, controversa, fondamentalmente positiva ma mi ha convinto che non esiste un luogo tranquillo per un uomo agitato. 

La letteratura siciliana fra lingua e dialetto : un connubio felice.- 
 " Che fosse vigilante se ne faceva capace dal fatto che la testa gli funzionava secondo logica e non seguendo l'assurdo labirinto del sogno, che sentiva il regolare sciabordio del mare, che un venticello di prim'alba trasiva dalla finestra spalancata. Ma continuava ostinatamente a tenere gli occhi inserrati, sapeva che tutto il malumore che lo maceriava dintra sarebbe sbommicato di fora appena aperti gli occhi, facendogli fare o dire minchiate delle quali doppo avrebbe dovuto pentirsi." A. Camilleri, La gita a Tindari, Sellerio Ed. Palermo. Febbraio 2000. 
Questo breve e recente estratto d'uno dei più famosi scrittori siciliani contemporanei illustra bene alcune caratteristiche di quella strana e composita creatura che è la letteratura siciliana quando essa si unisce, mescolandosi, al dialetto dell'isola. Perché si manifesti il fenomeno, sono necessari alcuni presupposti: il dialetto in questione deve essere molto antico, deve possedere un vocabolario ricco e articolato, deve infine esserci uno scrittore che inizi ad usarlo in una sua opera senza temere che essa debba perderne in dignità letteraria. Qui non si tratta di scrivere in dialetto qualcosa che potrebbe esserlo in lingua italiana: sarebbe un intervento troppo tecnicistico, fine a se stesso. La letteratura italiana deve molto agli scrittori siciliani, ben più dell'onore del Nobel; deve ad essi argomenti e tematiche originali, introspezione e analisi rigorose nate nel solco di una chiara tradizione europea ma rivissute con spirito nuovo, contaminato da una specifica "insularità", una dichiarazione d'appartenenza europea e continentale pronunciata con accenti mediterranei: il dialetto appunto. 
Pirandello rivoluziona il teatro italiano e europeo, pone al centro delle sue opere il problema dell'identità umana nella sua faticosa e mai risolta dinamica tra essere ed apparire. Si fa voce di un'Europa che sta per precipitare nel vortice del conflitto mondiale. La voce è in lingua italiana ma il tormento spirituale è tutto siciliano. Il premio Nobel è figlio dell'estremo lembo di costa agrigentina, là dove inizia l'Africa o finisce l'Europa, dipende dall'ottica culturale di chi legge e osserva. Pirandello non mescola, stilisticamente, l'italiano col dialetto siciliano: probabilmente l'etica letteraria del tempo non lo avrebbe permesso. Ma in alcuni casi (Liolà, La giara) scrive o riscrive alcune cose totalmente in siciliano; di solito ciò avviene per i temi più francamente scherzosi o sarcastici. E' come se il dialetto, in certi casi possa rendere meglio il senso profondo di ciò che si vuol comunicare! Situazione paradossale: uno scrittore premio Nobel per la letteratura ha bisogno di uno strumento "secondario" come il dialetto per dare forma compiuta ad una sua opera? Non è esattamente così o solo così. In realtà esiste per tutti i grandi scrittori siciliani un doppio piano di lavoro e d'ideazione: il primo in genere si colloca al livello degli studi e della cultura ufficiale ed esso fa sempre riferimento alla lingua italiana come distintivo e passaporto di una più ampia comunità intellettuale. Il secondo, più nascosto, resta comunque la linfa primigenia e vitale, il contesto all'interno del quale disporre gli elementi del proprio lavoro artistico. A voler fare una metafora potremmo dire che la partitura è italiana ma la chiave musicale di essa è invece siciliana, dialettale e dona all'esecuzione un timbro, una coloritura assolutamente unica. Visto da un'altra prospettiva questo doppio piano di lavoro potrebbe celare un'intima fragilità, un cronico pericolo d'inficiare la validità artistica non potendo risolversi in alcun modo lo scollamento fra cultura "nobile" italiana e il suo alter ego "volgare" siciliano e dialettale. In effetti, ad un esame superficiale le opere di Pirandello, Sciascia, Quasimodo, Lampedusa ed altri (l'elenco sarebbe molto più lungo) mostrano un dialetto in secondo piano, relegato a momenti particolari, apparentemente meno importanti, delle opere stesse. Quasi che la lingua italiana tenga a bada il dialetto per impedirgli di prendere troppo spazio, troppa libertà sostanziale e stilistica. Si è preferito allora dare al dialetto una sua specifica nicchia, un suo momento d'andare in scena, come dargli un’alternativa di secondo piano dopo avergli negato il diritto d'esser considerato con dignità di lingua? Non era questa l'idea dei grandi scrittori siciliani. Essi hanno, chi più chi meno, seguito una strada diversa legata, nei tempi e nei modi, all'epoca storica in cui hanno vissuto. Alcune opere sono nate e cresciute in dialetto siciliano come unico modo d'espressione o comunque l'unico valido (vedi Liolà di Pirandello); in seguito la trasposizione in italiano è diventato un vezzo, forse una sfida o un gioco intellettuale dal quale il dialetto esce vittorioso e con piena dignità artistica e formale. Altre opere mostrano una miscelazione più diffusa: in esse il siciliano è solo il lievito che affiora in un nome o nomignolo oppure in una breve frase o in una esclamazione particolare. Non potrebbe essere scritto diversamente, piccoli ma imprescindibili momenti senza i quali l'opera intera si trasformerebbe in altro. Possiamo immaginare un Don Lollò pronunciare parole con un accento e un intercalare diversi da quello siciliano nella " Giara" di Pirandello ? Che minatore siciliano sarebbe mai Ciaula senza quel nome e quei versi cupi e rauchi che imitano il gracchiare dei corvi nei cieli dei latifondi di Enna in " Ciaula scopre la luna"? Pirandello descrive la sorpresa, lo smarrimento e poi l'abbandono a qualcosa di più grande e più nobile dell'uomo. Il sentimento, la pace e il mistero dell'esistenza sono universali ma il cielo, la luna, la notte sono siciliani. Senza di essi il racconto sarebbe non diverso, sarebbe altra cosa. I due distinti piani dell'ideazione artistica sono quindi complementari, si muovono e vengono alla ribalta in tempi e modi diversi, non è possibile classificarli in modo prevedibile, non esistono scelte letterarie aprioristiche, i risultati sono visibili solo alla fine. Anzi in alcuni casi è soltanto una lettura ripetuta e approfondita a lasciare nella mente il senso vero e profondo di ciò che lo scrittore voleva trasmettere. In ogni caso, sia a piccole dosi sia in quantità più significative, il dialetto siciliano è indiscutibilmente protagonista nell'opera degli scrittori siciliani e, vista la loro importanza e notorietà, anche nell'immaginario sociale e letterario nazionale. Evidentemente non si tratta di una ragione squisitamente stilistica o formale e neanche di una moda stranamente protrattasi nel tempo. 
Deve esserci un motivo diverso che ha permesso ai letterati siciliani di raggiungere alte vette artistiche scrivendo in un italiano non approssimativo che però tracima qua e là in un altro linguaggio più antico e non meno elevato. Questa è la sensazione che se ne ricava: una lingua che è un italiano per tutti ma palesemente "siciliana" nella misura in cui si riconosce in essa uno spirito, un suono, un periodare che è tipico degli scrittori dell'isola. Probabilmente l'esempio perfetto di tale concetto lo si ritrova in Pirandello ma la vera novità sull'argomento è invece figlia di quest'ultimo decennio: essa ha un nome e un cognome, Andrea Camilleri. In lui i suoni, i fonemi, la sintassi… la lingua insomma è stravolta, reinventata. Nessuno avrebbe creduto che, al di fuori della Sicilia, qualcuno sarebbe riuscito non tanto ad apprezzare ma anche solo a capire i suoi romanzi. Camilleri, come di regola per i siciliani che scrivono, viene dalla letteratura in lingua italiana. Vi ha vissuto per cinquant'anni e lo ha fatto con grande bravura e dignità, poi improvvisamente ha inventato un personaggio e lo ha fatto parlare, pensare e sentire in dialetto siciliano. Un siciliano del basso agrigentino (le coincidenze storiche!) che si esprime in dialetto ma vive in italiano, nel senso che non soffre di sensi d'inferiorità culturali ed esistenziali nei confronti della lingua ufficiale. Quest'ultima gli è perfettamente nota, se la usa di rado è un fatto di scelta matura, non arrogante o speciosa, ma serena e misurata. Attorno, dentro e fuori ci sono le storie, le emozioni, le idee che potrebbero avere cittadinanza ovunque e ovunque essere comprese ma che, nel caso in specie, hanno un'identità inconfondibile ed isolana. A volte ci si chiede il perché di fatti a prima vista incomprensibili: la fruibilità per un lettore di Torino di un libro scritto in gran parte in dialetto siciliano mescolato ad un italiano ricco ed articolato è ancora un fatto difficilmente spiegabile. Un tessuto linguisticamente irripetibile, una trama misteriosa piena d'essenze nella quale dalla lingua italiana emerge, nei momenti più significativi, il dialetto che puntualizza e definisce al meglio ciò che l'italiano non potrebbe linguisticamente vestire. Non sembri questa valutazione solo un patetico arrampicarsi sui vetri, una valutazione benevola di un ibrido letterario francamente indigeribile: si tratta invece di un fenomeno linguistico frutto di un'evoluzione storica e culturale non sempre facilmente definibile nei suoi tratti essenziali. 
Di fatto dal XVIII secolo in poi l'elite culturale siciliana ha sempre guardato fuori, in Francia, Inghilterra, Germania alla ricerca di punti di riferimento meno asfittici di quelli italiani. Per fare un esempio calzante Pirandello si laureò a Bonn, specializzandosi in studi filologici con una tesi sul dialetto di Agrigento! Questa ricerca unitamente al desiderio di sentirsi parte di una comunità più ampia con pari dignità rappresentativa non ha però indotto gli scrittori siciliani a lasciare nell'oblio le proprie radici linguistiche e culturali. Così confrontandosi con le "lettere" di altre nazioni anche la lingua meno "nobile" ha trovato una sua ragion d'essere specifica e, nell'alveo più ampio della letteratura italiana, si è definita con una cifra stilistica di valore assoluto e perfettamente coerente all'ambiente socio-culturale che l'ha espressa. Diventa allora più facilmente comprensibile come per gli scrittori siciliani sia quasi naturale passare da una esperienza letteraria italiana ad una siciliana o ibrida senza che vi siano cadute stilistiche legate a forzature linguistiche di qualsiasi tipo. Si potrebbe parlare quindi di una sicilitudine della letteratura italiana, intesa come l'insieme delle forze che da un millennio si agitano nello spirito delle "culture" siciliane e che proponendosi non come scontro di civiltà ma piuttosto come nuova simbiosi culturale ha dato vita a quel felice connubio che ci mostrano le pagine di Pirandello, Sciascia, Lampedusa, Camilleri e tutti gli altri. Un connubio molto fecondo che ha regalato alla letteratura italiana pagine di esemplare pulizia stilistica senza per questo perdere in mordente e originalità. " Don Fabrizio quella sensazione la conosceva da sempre. Erano decenni che sentiva come il fluido vitale, la facoltà di esistere, la vita insomma, e forse anche la volontà di continuare a vivere andassero uscendo da lui lentamente ma continuamente come i granellini che si affollano e sfilano ad uno ad uno, senza fretta e senza soste, dinanzi allo stretto orifizio di un orologio a sabbia. In alcuni momenti d'intensa attività, di grande attenzione questo sentimento di continuo abbandono scompariva per ripresentarsi impassibile alla più breve occasione di silenzio o d'introspezione, come un ronzio continuo all'orecchio, come il battito di una pendola s'impongono quando tutto il resto tace; e ci rendono sicuri, allora, che essi sono sempre stati lì vigili anche quando non li udivamo." T.Di Lampedusa, Il Gattopardo. Feltrinelli editore 1969. 
Nel dialetto siciliano non esiste il tempo al futuro ma esiste la possibilità di guardare al presente e non dimenticare il passato: la Sicilia come gli scrittori che vi sono nati è tuttora una "metafora" dell'Italia e dell'Europa, tutto il male ma anche tutto il bene possibile portato spesso alle estreme conseguenze, anche in letteratura.

mercoledì 19 febbraio 2025

AGENZIA REUTERS -

Capita spesso, forse troppo, di sfruttare il palcoscenico virtuale per diffondere il proprio pensiero onnisciente su tutto e tutti: di argomentare su storia e società, politica economica e politica estera, letteratura e filosofia…a volte entrare perfino dentro dotte e sconclusionate questioni di teologia e fede. Avete davanti uno dei campioni mondiali di tali pratiche! Poi arriva qualcuno con una macchina fotografica, fa click e dice in un attimo cento cose più di noi. Certe volte accade così, altre meno e siamo noi in un rigo a raccontare meglio il mondo e il suo divenire. L’immagine è un blocco immediato perfetto ed esplicativo, la scrittura prevede immaginazione che della immagine è stretta parente anche se non si amano. 
Io, che sono un pigro, ho preso una manciata di foto DELL’AGENZIA REUTEURS le ho sfogliate e così ho sentito le mille voci che mi sono attorno: ho mutato le mie idee? Non tutte. Alcune per esempio si sono rafforzate, altre sono maturate, resta il fatto che non sarei mai riuscito a scrivere meglio di così il mondo in cui vivo adesso. 
Non sempre è un bel vedere: un tipo su un aereo diretto a Detroit stava per farsi saltare le palle (sue) assieme alle vite di altre 200 persone. L’11 settembre non è poi così lontano, Ground zero fuma ancora ma noi dimentichiamo in fretta, come faremmo a sopravvivere mentalmente sennò? Abbiamo subito molto ma guai a dirlo, scherziamo? Siamo gli occidentali, la razza più merdosa del pianeta, abbiamo oppresso adesso paghiamo dazio! Mah… è così? Faccio un po’ puzza è vero ma non è che gli altri siano dei concentrati di Dior. Secondo me ci hanno raccontato delle bugie e il terrorismo è bello vivo ed è soprattutto islamico. Accidenti l’ho detto! E ora? Politicamente scorretto, sono finito…addio miei scarsi lettori. (Però è così, sono sempre loro, Allah ackbar, non ho ancora visto un parroco con le palle circondate da esplosivo, un buddista kamikaze o un ebreo da autobomba). 
D'accordo, lo so che ci sono molti distinguo, che c’è il contesto, la reazione, la disperazione ma io dico che cosa serve raccontarci di un’umanità finta, minimizzare, scantonare? Il giorno in cui, da bravi atei, mentre siamo in volo verso la nostra amante segreta con la scusa di un viaggio di lavoro, ci trovassimo di fianco al terrorista di turno, prima di saltare in aria che facciamo? Gli facciamo vedere il nostro abbonamento a MICROMEGA? Una larga fetta di mondo è povera e malata, lo è al di là delle nostre più nere immaginazioni fomentate dal commercialista. Dalle mie parti le strade sono piene dei discendenti di quelli che nell’823 DC sbarcarono a Mazara, vendono cazzate ai semafori, spacciano per conto dei mafiosi di qui, sfruttano un bel po’ di puttane ma lavorano anche onestamente, sono pescatori- contadini sfruttati, esattamente come lo erano dall’altra parte del canale. Non si integrano perché a loro non gliene frega generalmente niente, alle loro donne sì ma zitte e sottomesse, a loro interessa vivere e sopravvivere e domani fare qui il loro islam in modo per loro economicamente più adeguato. 
Esagero? Ma voi siete sicuri? A voi frega profondamente qualcosa? Non capisco, scusate non vi frega niente del laicismo conquistato a fatica da noi, non vi frega niente di questo web dove scrivo io e scrivete voi, fate un casino spaventoso e firmate qualunque cazzata basta che venga da una certa parte… e non fate, non dite, non corteate per il massacro iraniano o siriano? Non fate una piega per il burqa, per la situazione femminile nel mondo islamico? Siete sicuri che tutto il terzo mondo entrato così come una scorreggia dentro i nostri confini sia LA soluzione? Ci stanno tutti qua dentro? Noi? Fuori dai coglioni o integrati? Anche tu che mi stai leggendo giovane-impegnata- progressista- sessualmente libera-culturalmente viva e superiore? D’accordo sono uno stronzo, il mondo cambierà (lo diceva già Gianni Morandi) il discorso è molto più complesso. Complesso? Complesso!! Ma aiutarli a casa loro? Ripopolare i deserti, irrigazione e civilizzazione? Spendere là i quattrini? Il discorso è molto complesso davvero. Nel mentre tutti dentro e chi si è visto si è visto. 
Signori guardate che qui da me è molto più facile; in Terronia si sa siamo molto più vicini all’Africa sapete? Ci vuole poco dai, basta tornare indietro di qualche decennio, al delitto d’onore, alle donne perennemente a lutto e al padre padrone. Poi per quanto riguarda clima, abitudini in genere, alimentazione e pigrizia ci siamo già. Lo sappiamo tutti che la guerra non ha mai risolto nessun problema; sappiamo benissimo che la guerra fa male e lascia cicatrici. Non penserete che stia qui a difendere le guerre sante? Ma se non lo sono quelle occidentali non lo sono nemmeno le altre, o no? Non ci sono ferite di serie A e di serie B, non ci sono bambini o civili più importanti di altri. Questo vuol dire che anche noi schifosi occidentali, vecchi occidentali, cristiani occidentali siamo importanti, esistiamo e abbiamo la nostra cultura. Adesso venite a raccontarmi che non è così, che dobbiamo sparire e che non serviamo se non a scrivere minchiate su un blog, che siamo sorpassati, duri, cinici e egoisti, mentre dall’altra parte c’è tutto un modo fantastico pieno di colori, civiltà e giustizia. Ho capito! Abbiamo letto un altro libro io e voi, abbiamo abitato un pianeta diverso senza esserne coscienti però il vostro è più serio e adeguato. Se noi come civiltà scompariamo, ci vaporizziamo in uno di quei millenari vuoti di memoria storica che spesso vediamo utilizzati alla bisogna, il pianeta starà meglio? 
I potenti del mondo, quelli che contano e ci contano come mandrie voltano le spalle al mondo e alla gente reale, siamo solo numeri di statistiche. I risultati di queste” dimenticanze” si osservano poi nelle distruzioni e nelle tragedie che contiamo lungo le nostre vite e nelle nostre strade. Ci raccontano balle, da secoli, dai che lo sappiamo; e noi facciamo lo stesso e nello stesso modo, siamo o non siamo blogger? Siamo l’informazione, quella libera, quella contro, la punta di diamante di un modo nuovo di fare conoscenza, un sistema che passa dalle escort e dai salotti esclusivi della sinistra radical chic, attraversa i centri sociali, defeca sui libri degli storici tradizionali, e sta di guardia alta e nobile sulla scrivania di Travaglio e Di Pietro e si fa beffe di chi non si adegua. Signori, siamo impotenti davanti ad una violenza intellettuale micidiale che per ogni dove andiamo gridando di voler combattere. Io no, io sono controcorrente della controcorrente, sono a sinistra della destra della sinistra di centro. Siete voi che non capite un cazzo. Dov’è la verità, e qual è la verità oggi in Medioriente? Quanto siamo distanti da quei paesi? Quanto è distante la nostra vita sociale dalle strade di Teheran? E se per caso fossimo più vicini di quanto vogliamo ammettere al sangue sulle strade? Magari ci troviamo anche noi due leader spirituali per cui farsi scannare… tanto resta tutto in famiglia da quelle parti… qui forse no. A proposito avete visto come trattano i dissidenti in Iran o nella Corea del Nord? Siamo veramente coglioni: per esempio abbiamo letto e ascoltato le parole dei pazzi criminali che guidano quei paesi, forse dovremmo riflettere un po’ meglio sul fatto che stano costruendo l’atomica! L’atomica non un petardo per i botti di Capodanno! Oppure ci sono atomiche buone e cattive? Quelle col velo o con la plica mongolica sono più giuste? E’ scontato quelli come me sono dei pirloni reazionari, qualunquisti ridicoli e mediocri, gli iraniani, i coreani, stanno costruendo solo centrali per produrre energia necessaria al progresso del Paese… lo sapete che lo diceva anche Adolf ai tempi dell’acqua pesante in Norvegia? E noi occidentali stronzi li vogliamo lasciare nella loro miseria! Che bastardi che siamo, non riusciamo a immaginare un islam moderno, con le case pulite, niente straccioni per le strade, ma acqua corrente e luce, cibo e medicine e bambine infibulate e scopate a dieci anni, magari dentro un bell’harem dove il maschio di turno si divide un po’. Un islam coi circuiti da formula uno e la macellazione halal, con gli studi matematici e le donne coperte (ma si che è bello), senza quella minchia di musica pagana e con tante scuole coraniche al posto della biblioteca Vaticana. Un oriente tutto parate militari e culto della persona, applausi e inchini, sfide roboanti e una miseria morale e materiale senza fine dietro la facciata. Questo è un discorso inutile. Basta discorsi inutili.

sabato 15 febbraio 2025

MAL D'AMORE

Non mi fai male, ci provi
Non mi fai male
neanche quando superi la linea
del dolore fisico
e ti inganni posando lo sguardo
sulla linea retta del mio pene.
Ti ci posi volentieri- dici-
col pensiero malizioso di
un gesto forte che non riesce a diventare
una carezza lieve.
Non mi fai male- e non mi credi-
ho chiuso ogni strada al destino
di averti ma tu- certo-
ti poseresti di slancio su ogni
mio rimando. E così fai male

mercoledì 12 febbraio 2025

La mia ragazza lontana

Credo che scrivere sia per me fondamentale: lo percepivo confusamente già ai miei sette anni d'età. Scrivere per capire e capirmi, per fermare l'attimo e non farlo morire. Negavo il parlare? No, ma non funzionava allo stesso modo...o forse ero io a non capire; parlare faceva confusione, diluiva il tutto, non lasciava traccia. I gesti? Quelli erano e sono altra cosa, A volte elementari ma sempre statuari e definiti, qualcosa con cui confrontarsi senza ipocrisie. Ho vissuto migliaia di gesti nei miei 70 anni, alcuni sono rimasti impressi per sempre dentro di me e li rivedo come allora, li sento nel profondo, sono la mia vita vera. Mi manchi, se riavvolgo il film della mia esistenza adesso è tutto chiarissimo: ho avuto una sola change di felicità e portava il tuo nome. Lo sentivo, certo lo sentivo anche allora ma ero troppo fragile e distonico, studiavo poco, facevo poco e soprattutto costruivo poco. Non è una scusa ma solo una constatazione, è un difetto costituzionale, inutile girarci attorno, non sono mai stato capace di indirizzare le mie forze, i miei istinti verso qualcosa di concreto, qualcosa che mi potesse salvare veramente dall'erosione esistenziale che già cominciava a sgretolarmi a 20 anni! Uno sciocco dalla sintassi esemplare! Un nullafacente dalla cultura esplosiva e dalla capacità fortissima di non tenere niente di solido tra le mani. Ti ho perso per questo e mentre accadeva , mentre vedevo sgretolarsi un sogno, stupidamente mi davo ragioni false, orgoglio, equivoci, mancanza di vero amore! Cercavo di fermare la morte dell'anima dandomi un contegno banale e inutile. La mia ragazza si allontanava ed io non sono stato capace di darle l'ultimo bacio, scendevo le scale come un ebete ipotizzando un futuro che non c'è mai stato. Ho provato decine di volte a trovare un interlocutore: alla fine devo accettare il verdetto: non mi ama nessuno, non mi parla nessuno, sono tutti alieni all'errore, tutti organizzati e organizzabili, nessuno ha tempo da perdere con Enzo. Negli ultimi 30 anni ho riempito di lacrime segrete e solitarie i miei giorni, sempre più stanco e affannato...una compagna, una voce, qualcuno con cui condividere per non lasciare campo aperto alla fine. Sai come andava? Sguardi attenti, interessati, increduli su come ero e soprattutto come potessi essere in futuro, infine l'enorme delusione su come fossi in realtà, di quanto fossi incontrollabile, di quanto fossi impotente e di quanto di me occupava una forza diversa presente da prima di ogni altra. Ho disceso le scale fino agli inferi e adesso li guardo da vicino: mi chiamano con voce insistente, beffardi e sicuri della loro vittoria. Resti tu, ci sei tu, così senza nessun altro orpello dell'abito che avevi allora, completo e luminoso, la mia ragazza lontana, il mio sogno maledetto e irraggiungibile. Tutti questi anni trascorsi a guardare la tua vita senza di me, le nostre vite buttate nella spazzatura senza neanche un vero senso. Mi agito come un vecchio scemo, quel che sono, ti chiamo nell'unico modo che conosco, non lo definisco perchè le magie si possono solo assorbire. Mia madre me lo diceva - morirai con questo segno di inutilità addosso, almeno vestilo bene, nel miglior modo possibile- Ci sono riuscito? Serve a qualcosa? Guardo attorno a me, i miei giorni adesso corrono in fretta ma dovrei scriverti più spesso per dirti la verità...quella che tu conosci bene amore mio. Esiste solo un'occasione per quelli come noi: tu sei più forte, ti sei difesa meglio, non credendoci più la vita si è disinteressata di te, sei cristallizzata in una dimensione adeguata al nulla che ci circonda, vivi segreta e irraggiungibile. Io non esisto quasi più, chiunque oggi se mi avvicina lo fa solo per farsi quattro risate e convincersi di aver fatto bene a lasciarmi solo a cuocere nel mio brodo. Nessuno parla con me, ho una lingua diversa, nessuno discute con me, delle mie opinioni non frega niente a nessuno così anche la scrittura è giunta a una solitudine profonda...omnia mecum porto, quasi niente quindi, una particella libera nel vento che prima o poi si poserà stancamente da qualche parte per diventare terra. Non sarà una scelta nemmeno quella! Quando ti parlo mi nego, ho paura di addossarti un'ulteriore tristezza, vorrei fossi felice ma so che non potrai esserlo e che io ne sono la testimonianza vivente. Non ti aiuto, non risolvo nulla, ma come potrei? Rovesciarti addosso la grande quantità di errori fatti, analizzare tutte le impotenze per dirsi poi abbiamo sbagliato e aggiungere poi e non vi è più nulla da fare...ho sbagliato io non tu. Tu hai capito e hai conservato di me solo la parte migliore, sei scappata lontano dalla mai incapacità di concretizzare la tua e la nostra salvezza, hai conservato il sogno segreto. Io mi sono fatto massacrare da tutto e da tutte. Il risultato è questo: perfettamente definito, sono un uomo vecchio e stanco, uno come tanti per tutti anche per mia moglie. Se non riesco a entrare in contatto vero con qualcuno devo iniziare a pensare che la colpa sia mia! Che sia io a parlare un italiano falso, incomprensibile e senza riferimenti credibili. Tu sei sparita dentro te stessa, forse ti sei salvata ma io sono solo uno scheletro vuoto e senza forze in un contesto che vuole e pretende ben altro. Sono anche sul banco degli imputati e non voglio difensori d'ufficio, non potrei pagarne di altro tipo. Sono accusato di aver mentito, di non aver amato, di non aver prodotto, di non aver capito...ho una marea di imputazioni e se provo a dire non mi si fa neanche parlare perchè chi ha amato non ha scampo, l'amore si paga con la morte. Se hai amato sei pericoloso, non è un patrimonio l'amore, una memoria salvifica, è invece un veleno letale che potresti iniettare ad altri! Sono pericoloso e inaffidabile, questo è quello che mi dicono da anni...l'altra versione è - poverino ma se l'è voluta- Io non ho voluto niente Giusy, ho seguito il mio istinto, la mia natura che mi ha condotto a te. Spero solo che la scrittura almeno con te mi salvi dal caos in cui rischio di precipitare. Enzo E certamente sono molto più fragile di ieri, prima avevo ancora un minimo di buona fiducia nel tempo semplicemente perchè c'era ancora tempo! Ora non più, ora sono in una gabbia stretta, restarci dentro per sopravvivere stancamente oppure rompere le sbarre e andare a morire altrove. La solitudine resterebbe la stessa. Perchè non esiste una connessione diretta e immediata tra la mia testa e la mia mano che scrive, qualcosa su cui tu poggiandoci sopra il viso possa sentire tutto, proprio tutto. Ti invio una musica, la canzone che sto ascoltando ora, il sentimento di adesso. Domani è troppo oltre, domani non esiste più da anni.

domenica 9 febbraio 2025

UNA LUNGA VIA DIRITTA VERSO IL MARE -

Adesso che sono altrove non ho affatto le idee più chiare. Qualcuno, osservandomi attentamente, noterebbe lo sguardo un po' obliquo di un naufrago che tenta in tutti i modi di restare in piedi, aggrappato all'albero della nave che mi ha portato sulle rive dello Ionio, da quest'altra parte dell'isola. Una parvenza di "simpatica dignità" è bastata finora a non farmi apparire fuori posto per le strade di questa città. Ci cammino da quasi ventisei anni e vorrei anche entrarne a far parte una volta o l’altra, ma la simpatica dignità non basta. Quindi cammino e mi guardo attorno. 
Tutto è dominato dal grande vulcano: è così immanente che puoi sentirlo anche quando non lo vedi: io abito in una città in bianco e nero, in salita verso la montagna, in discesa verso il mare. All'angolo superiore di Piazza Borgo, oggi pomeriggio, c'è il vecchio che vende gelsi neri. Quando mi fermo si alza dalle cassette di legno che gli fanno da sedia e attende la mia domanda sul prezzo. Sono cari.
- Quanti ne vuole, un chilo?
- No, no, tre o quattro etti sono più che sufficienti. 
- Taliassi che meraviglia dutturi, i scartai io uno pi' uno....facemu 'na mezza chilata? 
Ma io sono irremovibile e lui, rassegnato, prende i piccoli frutti neri dalle vecchie ceste intrecciate di vimini e li infila in una bustina di plastica trasparente. I gelsi cominciano a stillare il loro succo nero come l'inchiostro. Stasera li metterò sopra un piatto bianco e giocherò a mangiarli uno ad uno nel difficile compito di non macchiarmi in modo indelebile. Resterò a casa. Da solo perchè voglio stare accucciato ad ascoltarmi. Non spingo più nessuna emozione da tempo: ne sono circondato. Quando ero un ragazzo e correvo a perdifiato, talvolta facevo la stessa cosa: restavo accucciato ad ascoltarmi e il mio spirito si sfilacciava in mille rivoli che mi danzavano attorno. Mi pareva così d'essere ricco a dismisura. 
Da qualche mese un'idea antica è tornata prepotente a bussare alla mia testa, ormai non posso più eluderla; questa sera che già comincia a scendere sarà l'occasione giusta per tutto: per i gelsi neri, per me… e per l'idea. Basterà rimanere accucciato ad ascoltarmi: mi sembrerà di vivere più a lungo? Forse no. Guardo in giù, dal balcone il panorama si distende verso la plaja e oltre sino alla costa saracena, verso Augusta; quante facce ha la terra dove sono nato? Mio padre non voleva tornarci, diceva che non ne avremmo ricavato nulla di buono, diceva che la Sicilia e i siciliani non sarebbero cambiati mai (elogio dell'irredimibilità) che la strafottenza ci avrebbe soverchiato e l'inciviltà annichilito (elogio dell'ingovernabilità). Ma nella tarda estate di trentatrè anni fa ci tornò, eccome se ci tornò. E aprì tutte le finestre di casa. 
- Bisogna cambiare l'aria. Picciotti che ve ne pare? E' grande e non è poi così cara. Enzo, le sedie di là, gli scatoloni in questa stanza  
La sua voce rimbombava allegra per le stanze semi vuote, rotolava e rimbalzava tra le centinaia d'oggetti ancora distribuiti alla rinfusa. Mia sorella sembrava indecisa, lei non aveva pienamente gradito il trasferimento. Probabilmente duemila chilometri erano troppi...lo sarebbero stati sempre. Io invece ero euforico e fremevo per ricominciare tutto da capo come un pioniere del nuovo mondo, Lasciare ogni cosa alle spalle, definita o meno, e provarci di nuovo: il mio sport preferito. E fuori della finestra, bastava affacciarsi, c'era Palermo e il cielo era particolarmente azzurro. Ma non soltanto del cielo dal colore inconsueto e inciso dal profilo delle palme dovrei dire; anche lo spessore dell'aria, gli odori e i rumori vicino ai mercati popolari disegnavano un mondo del tutto nuovo da esplorare. Di fatto, senza rendermene conto, cominciavo a dare al tempo un ritmo e un valore diversi da prima. 
Chi l'avrebbe mai detto! Credevo di conoscere quest'isola e quella città fin dalla mia infanzia ma era una conoscenza limitata, da turista, appassionato certo, ma turista con tutte le limitazioni del caso. Adesso potevo fare diversamente: viverci dentro un contesto e scavarlo dal di dentro, le occasioni per farlo mio sarebbero state infinite. Dovevo solo limitare il coinvolgimento ad un passo prima del connubio definitivo, pensai allora, questo per mantenere una lucidità di giudizio degna di un viaggiatore di lusso perchè tale mi ritenevo. Fare l’amore con distacco, in punta di piedi, non coinvolgermi, essere l’esatto contrario di quel che ero e sono! 
I gelsi neri cominciano a poco a poco a diminuire nel piatto e io sorrido pensando al numero di sciocchezze che si partoriscono da giovani, alla quantità di proclami e posizioni "imprescindibili" assunte attorno ai ventanni. Palermo fu altra cosa e mi bastonò per bene. Catania mi guarda impassibile, forse vuole benevolmente evitare d'uccidere un uomo morto. Comunque e dovunque io sono sempre stato invischiato in cento problemi, legato fino in fondo ai miei errori alle mie debolezze, alle vittorie effimere colpevolmente scambiate per trionfi dorati. Questo pensiero mi dà una leggera vertigine: come le scatole cinesi un’idea ne apre subito un’altra e un’altra ancora…Ecco fatto! Sono riuscito a sporcarmi. E' bastato distrarsi un attimo correndo dietro ai miei pensieri ed una piccola macchia tonda, violacea come un bubbone si è aperta sulla camicia. La sfioro con le dita quasi debba sincerarmi della sua consistenza...e così il gioco è completo perchè le dita sono color inchiostro per aver maneggiato i gelsi. Adesso la camicia sembra la reclame di un film sulla mafia dei primi del '900 oppure quella di un horror di serie B. Il succo dei gelsi è quasi indelebile sui tessuti e quindi sì nun sugnu fissa io, dumani nun agghiorna! Incredibile ma vero, faccio a 50 anni gli stessi spropositi di movimento di, quando ne avevo 10, deve trattarsi certamente di un problema genetico, una specie di malattia motoria dalle cause sconosciute. Nell'intimo sono distratto e goffo, cerco di non darlo a vedere, ma capita spesso e nei momenti meno adatti. 
La rabbia che mi faccio adesso è certamente esagerata per il motivo che l'ha prodotta eppure mi danno lo stesso dandomi dell'imbecille e giurando a me stesso che sarà l'ultima volta che accade e l'ultima camicia che sacrifico. Di prime e d'ultime volte ce ne sono state troppe nella mia vita: alla fine le une e le altre si sono eliminate a vicenda. E' rimasto solo quest'uomo che osserva il tramonto dal balcone con la camicia sporca e le mani imbrattate, solo questo. La colonna sonora non ha niente a che vedere con la pace austera del momento: decine d'automobili starnazzanti stanno facendo del loro meglio per far diventare più nevrotica la città; in certe ore si danno tutte convegno lungo questa strada con i loro omini alla guida e vanno o perlomeno cercano di andare da qualche parte. Io invece da un po' di tempo mi sono fermato. Pare che alla fine capiti a tutti e senza preavviso. I clacson delle auto sono diventati distanti ma il motivo non è un’insperata buona creanza dei catanesi al volante; la causa vera di questo silenzio ovattato e innaturale è la conseguenza di una lunga rincorsa. Ed io finalmente capisco dove sono giunto stasera e perchè la sensazione del tempo ora ha questo sapore speciale: sono alla prima stazione dell'inventario della mia esistenza. Per qualche tempo il treno si fermerà qui, non so quando ripartirà ma in fondo non mi dispiace. E' un luogo molto particolare e voglio respirarne l'aria fino in fondo con una calma che non mi è consueta; sento che qui non puoi nasconderti niente. Così ho deciso di sedermi su un'immaginaria panchina e ricordare. 
Ricordare bene e con attenzione perchè il tempo trascorso è tale e tanto da sfidare le capacità della mia mente a non farsi travolgere dai miraggi e dalle illusioni. Lo smarrimento di prima ritorna, insistente: questa stanza e questa città sono tutt'altra cosa dalla storia che voglio raccontare, sono la valle solitaria e lontana dove lascerò le mie ossa, il cimitero dove finiscono i dinosauri come me orgogliosi fino in fondo della loro inevitabile immanenza. Guardo fuori dal balcone e tremo un poco, solo un po’: questa idea della morte e dell'inevitabile fine fanno a pugni con i colori gloriosi della sera che sta rapidamente calando sulla baia di Ognina. Mi accorgo improvvisamente che non sopporto più né la casa né i gelsi, che ne ho piene le tasche di tutto e tutti. Che bella furia allucinata e distruttiva si è impadronita di me! Che vadano al diavolo le elucubrazioni, i ricordi e tutto il carico d'inutile dolore che si portano dietro. Uscirò da quella porta, mi metterò anche io dentro la mia scatoletta con le ruote, starnazzerò come gli altri omini…meglio di loro e scenderò verso il centro. Voglio vivere, oggi, voglio sentire l'umanità strusciarmi vicino lungo Via Etnea, voglio vedere se la gente si accorge di me, se capirà di incrociare nei suoi passi un vero superstite, uno degli ultimi esemplari rimasti di amante degli amori impossibili. Questa città, in fondo, è famosa nell'isola per la forza e la varietà degli amori e degli amanti appassionati che la popolano. C'è una lunga e radicata tradizione sociale e letteraria col suo marchio di fabbrica, con le sue passioni assolute e quasi febbricitanti e mille sguardi di fuoco che sciabolano tra la villa e Via Umberto, occhiate che troncano il respiro e fanno bollire il sangue. Ci sono ancora molti cittadini "ruspanti", maschi con i baffi e femmine con le tette che amano recitare tutte le parti della tragedia amorosa e sanno fingere di non conoscerne l'epilogo. Lo dico senza sarcasmo: qui l'eros non è uno degli ingredienti, ma la prima delle essenze con le quali cucini la vita; se non mangi di questo cibo è mugghi ca cangi paisi pi' nun ristari dijunu. 
Ma io devo esser sincero, non sono restato digiuno qui negli ultimi trent'anni, anzi mi sono spesso intrufolato fra gli invitati al banchetto…e ho pranzato, cenato, fatto colazione e merenda. Conosco alcune persone che di questo stile di vita ne hanno fatto la regola: passione, sesso, incontri notturni, corna, orgasmi, estasi e disperazione. Un vortice senza fine e senza limiti d'età, un fiume d'energie incanalato verso una sola meta, l'unico gioco che valga la pena di giocare e, soprattutto, la negazione del dogma isolano secondo il quale “cumannari è megghiu 'i futtiri.” Ed io? Già cosa devo farne di me? Io non sono mai stato un buon commensale, non sono di bocca buona, spesso mi sono annoiato mortalmente ed ho lasciato la tavola ben prima del brindisi finale. Lo ripeto, non sono entrato a far parte della confraternita, l'oggetto del desiderio mi affascina sicuramente però a modo mio, esclusivamente mio; sembra un vanto ma adesso si mostra per ciò che realmente è, una sconfitta voluta e guardarmi attorno non serve, non basta a cancellare l'altra faccia della medaglia di questa passeggiata serale lungo il viale delle rimembranze. 
Sto peggio di prima, la realtà comincia a manifestarsi in modo evidente ed è triste: alla fine tutta questa gente che mi sfiora, mi guarda e ammicca, che mi cola addosso i propri umori densi mi dà un senso d'asfissia. E' meglio cambiare itinerario e dirigersi verso il mare, i pesci almeno sono muti, li puoi interrogare e inventarti le risposte: una delle mille facce della pietà.

mercoledì 5 febbraio 2025

LA LINGUA, LA SINTASSI, LA CONOSCENZA DEL LUOGO -


Molto tempo fa c'era un altro tempo: e questa parola riempiva lo spazio esattamente come fa adesso. E' molto più di un'idea, è la nostra evidente realtà organica che trascende nel metafisico. il tempo lascia aperta la porta affinchè noi si possa intendere il percorso seguito e quello a venire. Ci nni voli tempu pù luvarimi do menzu...ed è essenziale che alla sintassi linguistica si associ quella topografica e esistenziale del luogo. Vincenzo Spampinato lo conoscono in pochi, peccato. La canzone che ha più di ventanni è tratta da un album che si chiama "Antico suono degli dei": dentro la sua stoffa ci sono alcune cose che solo un catanese e un siciliano possono intendere e non è solo il senso nostro del tempo. La traduzione è visibile nel video ma 
 - l'albero grosso è quello all'angolo sud est del cimitero di Catania lungo la strada che porta verso Siracusa: ci passano davanti da sempre tutti i mercanti e gli operai che lavorano a sud della città 
- Santa Agatuzza col suo fercolo passa sotto gli archi della marina il quarto giorno della festa, quella del giro esterno, la calata della marina è un momento suggestivo e pericoloso se è piovuto. 
- Giammona è un chiosco storico di Catania a piazza Umberto, aperto fino all'alba e il "completo" è una della sue mitiche bevande (orzata, succo fresco di limone, anice e seltz) 
- Il ferro è l'arma da fuoco 
Il resto, l'anima di certe notti infinite, il siciliano asciutto di questa parte d'isola, il senso del mare a due passi e la malinconia feroce e segreta di una conquista femminile improvvisa, per tutto questo ci nni voli tempu.