Probabilmente sarà stata questa nuova stagione politica e sociale, quella che da anni ormai ci spinge verso un futuro che, in parti statisticamente uguali, alcuni vedono nera altri rosea. Sarà lei la madre del nostro malessere Io? Io la vedo ridicola e velenosa ma ci sto dentro: malamente ma dentro.
C’è qualcosa che mi irrita e mi offende nel profondo nei discorsi che ascolto o che leggo in giro, anche sui blog; qualcosa che è un insieme di valutazioni etiche, storiche e ambientali sul meridione in genere e sulla mia isola in particolare. E’ come se seguissi il percorso di una verità che, pian piano, si diluisce e diventa menzogna: ma è difficile spiegarmi. Anzitutto l’isola non è un luogo soltanto “sfavorito”: anche ai tempi di Omero l’isola era una perfetta metafora dell’esistenza umana, il luogo perfetto per costruire una narrazione o una magia. Quante storie terribili di prigionie e carcerati sono da sempre legati all’isola? Quanti nascondigli e favolosi tesori sono da sempre nascosti in un’isola? Basta ripensare alla storia di quest’ultimo secolo: l’isola era l’ambiente, anche mentale, dove imporre lontananza sia ai criminali che agli oppositori di regime, qualunque esso fosse.
E mi viene da ridere amaramente: il fascismo mandava i suoi oppositori al confino sulle isole, il nuovo stato repubblicano, nato dalle ceneri del ventennio, in fondo fa la stessa cosa per quelli che, nonostante tutto, si ostinavano a fare il loro dovere nella pubblica amministrazione: trasferiti in una delle due isole a dirigere il traffico! L’isola in ogni caso era ed è un luogo estremo abitato da gente estrema: vogliamo provare a rileggere questa condizione? Proviamo ad osservare l’isola da un punto di vista che non la veda solo come il luogo della morte civile prima, economica poi. Impresa difficile, forse impossibile, troppi concreti difetti, troppe situazioni di eclatante disagio. Voglio provare almeno a volgere il tutto in una dimensione culturale adeguata alla mia isola, la Sicilia, a ridarle con orgoglio il posto che le spetta al di là e al disopra delle farneticazioni leghiste. Comincio con alcuni versi di un confinato a Lipari (Eolie) negli anni trenta: Curzio Malaparte.
E
sempre a questa solitaria riva Io vengo,
alba
marina, ad incontrarti.
Svela
un lieve chiarore a poco a poco, sparsi sull’arenoso lido
gli
ossi di seppia e i pesci morti dai tondi occhi innocenti,
e
le conchiglie dalle rosee labbra.
Già
trema nei velati occhi amorosi L’azzurra alba lontana.
Il
mar delle conchiglie ha voce umana.-
Non mi pare che tali versi esprimano solo tristezza; c’è malinconia, c’è apertura, c’è sogno, c’è vita nell’isola. Si avverte un abbraccio, una confidenza amicale che probabilmente altrove non avresti. E già argomentare di queste cose in questo modo mi fa sentire l’enorme lontananza dalle posizioni “continentali” che privilegiano altri aspetti e danno la mia terra come condannata ad una vita “inferiore”.
Ma penso anche all’infinita letteratura dei siciliani, alla loro sintassi psicologica ed ideale e mi viene il dubbio che per noi essere isolani è un privilegio o, meglio, un’ambizione; che la vera isola è conficcata dentro la nostra testa e non combacia con la realtà geografica: i tre chilometri dello stretto di Messina. C’è conferma di questo giudizio negli scritti di alcuni intellettuali meridionali e no: l’insularità come autocompiacimento.
Tomasi di Lampedusa nel “Gattopardo” – Non nego che alcuni siciliani trasportati fuori dall’isola possano riuscire a svagarsi: bisogna però farli partire molto, molto giovani; a vent’anni è già tardi, la crosta è fatta. -
Verga in un saggio dedicato a Pirandello – Tutti i siciliani in fondo sono tristi, perché hanno tutti un senso tragico della vita e anche quasi una istintiva paura di essere oltre quel breve ambito del covo, ove si senton sicuri e si tengono appartati… avvertono con diffidenza il contrasto tra il loro animo chiuso e la natura intorno, aperta, chiara di sole… ma ci son quelli che evadono; quelli che passano non solo materialmente il mare ma che, bravando quell’istintiva paura, si tolgono ( o credono di togliersi ) da quel loro poco e profondo che li fa isole a sé, e vanno ambiziosi di vita ove una loro fantastica sensualità li porta.-
Non potrei aggiungere altro ad una definizione così puntuale e profonda; voglio solo dire, oggi più di ieri, che del sud e della sua isola più grande questo paese non può fare a meno. L’effimero ci prende, ci possiede: la relatività ci permea da secoli…ve la regaliamo. E’ un dono prezioso e un punto di riferimento contro l’assolutismo continentale che tutto vorrebbe chiuso in “logiche di mercato”. Avrei voglia di dire altro ma rimanderò ad una prossima occasione il desiderio di raccontare altro della mia terra “metafora” dell’Europa come diceva Leonardo Sciascia.
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Un uscio stretto ma ho i miei motivi: vi leggo quasi sempre in silenzio.