martedì 12 novembre 2024

VIA FESTA DEL PERDONO -

Ho frequentato le scuole inferiori che ero nell’Italia del primo 900: quella dei bambini ordinati in fila, con i grembiuli tutti uguali, gli occhi grandi spalancati sul futuro immediato. Sono entrato alle scuole superiori che erano trascorsi, in due anni, due secoli: i grembiuli strappati, i banchi ordinati in semicerchio, la carta dei libri usata per rollarsi spinelli, gli occhi a spillo a temere il futuro. 
Per un po’ di tempo ho cercato di capirci qualcosa, ho frugato nella spazzatura con l’idea di averci buttato dentro momenti indispensabili… non ho fatto in tempo, i bidoni li hanno portati via prima, si potrebbe dire senza dubbio che la mia è stata una generazione di “bidonati”; io stesso ho trascorso metà della mia esistenza a recuperare me stesso. 
Quando entrai al primo anno di ginnasio, il mio liceo milanese era bianco e il preside non salutava nessuno. L’aria era fredda al mattino e spesso odorava di nebbia, io semplicemente non ero, non ero niente di definito, Enzo era soltanto la sua inquietudine, il suo accento, il suo modo di parlare e scrivere. Anche allora demandavo all’esterno una versione riveduta e corretta del mio intimo, ma a ben vedere era un atteggiamento scontato, quasi obbligatorio direi. Io fui un giorno ormai lontano su un’altra sponda, ma ci stavo male, c’erano alcune cose che mi suonavano storte comunque le girassi. Finchè una sera lo dissi ed era un’assemblea studentesca e mi coprirono d’insulti e poi, fuori dall’aula, i democratici, i custodi della libertà mi riempirono di botte dandomi dello sporco fascista. Erano gli anni in cui “Uccidere un fascista non era un reato” e ora è trascorso molto tempo ma non basta. L’aria è la stessa: nei settori giovanili di questa società la violenza paga ancora e i ragazzi si fanno indottrinare bene per crocifiggere l’avversario ed annullarlo, tanto c’è sempre un valido e nobile motivo per farlo. Ho ancora negli occhi i giorni trascorsi in Via Festa del Perdono, una strada che fronteggia la facciata dell’università Statale di Milano; in pieno centro, a breve distanza da Piazza Duomo e dalla Galleria. 
Via Festa del Perdono è stata per 3 anni la mia casa, poi nel 1973 sono emigrato. E’ anche il luogo della nascita del mio sogno sociale più grande e del suo più feroce ridimensionamento.


Dimmi che non è stato poi
male,
non tanto, per noi che abbiamo
sconfessato le regole
del gioco.
Conficcami nel cuore il chiodo
del mio eskimo
fai che il mio sangue fluisca
al ritmo dei miei capelli che
ondeggiano lungo la
strada.
Giurami che averci provato
basta a ricordarci
che fummo vivi
e sbagliati.
Chiudimi gli occhi
apri il mio sguardo
al ghigno beffardo di
non esserci riusciti.
Io ben ricordo l’ideologia
Il bisturi affilato che
separò le scene della mia
vita
e tu dimmi che non è stato poi
male.

2 commenti:

  1. Che storia particolare la tua. Dei tempi andati ma con purtroppo attuali atteggiamenti bulleschi. Bellissima la tua poesia carica d'intensità ideologica, sospesa tra passato e presente. Se non è stato poi male? Una risposta forse non ci sarà mai. Ciao Enzo e grazie di essere passato da me.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Buongiorno Pia, in realtà ormai non mi aspetto più risposte chiarificatrici, cerco solo di vivere decentemente ma i sogni non li ho mai abbandonati. Grazie a te.

      Elimina

Un uscio stretto ma ho i miei motivi: vi leggo quasi sempre in silenzio.