e
va via che arrivano gli altri colori.
Tornano
a grumi i ricordi
come
collane delle altre vite
che
io ho finto di dimenticare.
Si
riflettono in questa,
danzano
sui miei capelli,
mi
trascinano, timido, in un ballo
pubblico
sotto gli occhi di spettatori
diversamente
interessati.
A
volte rovescio il capo all’indietro
e
mi concedo.
Allora
è bellissimo,
i
cieli, le strade, le stagioni,
i
visi e le parole, mi sfondano
il
cuore
senza
farmi male.
Allora
io sono vero, senza luci di scena
falsi
eroismi, concrete paure.
Sono
quel che mia madre ama e teme io sia:
un
lucido errore che riconosce se stesso.
Aspetto
che gli astri terminino
il
loro ciclo, domattina non potrò dire di aver sognato
non
riesco mai a dividere esattamente
i
sogni dalla realtà,
l’oggi
da ieri,
i
miei occhi stanchi dai miei piedi
di
bambino.
E’
di sera che il quadro si compone
ed
io che sono malato
alzo
il viso verso l’eco delle mie ombre
in
direzione del mio respiro lontano.
Bellissima poesia, la sera in effetti è quel momento in cui ci si può raccogliere in se stessi e scoprire qualcosa in più su se stessi, sul mondo...
RispondiEliminaUn abbraccio :-)
Ciao Francesca e grazie, è rarissimo ricevere un commento qui.
EliminaOblivious