lunedì 30 giugno 2025

TIPI D'AMARE -

Nessuna certezza? Tutte le certezze! I maschi son tutti facilmente conquistabili: non ne ho conosciuto uno che sia uno che non fosse disposto a una serie di pazzie solo per due gambe ben accavallate. Per gli uomini la faccenda è un po’ più complessa, soprattutto se sono giovani e credono che il mondo sia alla loro portata. Inevitabilmente finiscono per considerare le donne alla stregua di un bellissimo paesaggio, di una contrada lussureggiante da “colonizzare” appunto. Forse sono costoro i “colonizzatori dell’anima” ai quali una certa letteratura si riferisce. Ma le certezze finiscono qui, dopo comincia il territorio degli uomini feriti, col pene in diretta comunicazione col cervello, il territorio degli uomini che non hanno mai dimenticato di essere stati donna. Per costoro non esistono donne impossibili da conquistare: semplicemente esistono le donne e le si sceglie guardandole negli occhi, attraverso i movimenti delle loro mani, delle labbra, del seno, annusando l’aria che le circonda e annullando in breve tempo tutti i giochetti che coprono il profumo vero di un incontro. Per questo genere d’uomini è difficile incontrare una donna “adeguata”: gusti troppo difficili, naso troppo fino, testa non in vendita, eccessiva sincerità, il proprio seme non barattabile, un carattere impossibile insomma. Questi, però, non pensano mai che sia fatta, nemmeno durante un coito, ma amano osare perchè la solitudine a volte è difficilmente gestibile. 
Restano soli e soli muoiono come sono vissuti, sorridendo all’idea di quelle poche donne che si sono fermate per qualche tempo a dirsi d’amore con sensuale fragranza. Non so perchè ma credo che anche loro, infine, diventino tipi da non amare.

NON TORNERAI, IL CAPITARE DEI GESTI -

Potrebbe sembrare un ritorno, ma non tornerai. So che non sarà così. Siamo altrove, qui solo le orme fuggevoli di un pensiero, di un’idea. Non tornerai ma sarebbe stato bello il contrario, distruttivo forse ma luminosamente bello. Sai quanto è facile slittare fra le pieghe della propria vita: ho troppe note in testa e quasi mai una dominante. Vorrei riderne, con te più che con altre, con te per un antica intesa lucida e cristallizzata nel tempo. Sai quanto è facile percorrere il labirinto dei nostri giardini segreti per ritrovarsi poi davanti alla spiaggia che amammo da ragazzi e dire, in silenzio, eccomi, sono pronto. Ho sospeso molte mie pagine per una crisi di “snobismo culturale”; quando ritroverò la sciocca pretesa di farmi capire dagli altri riaprirò le danze. Perchè, tu lo sai, danzare mi piace moltissimo, è connaturato al mio spirito e non potrei farne a meno; questo è il motivo del mio scrivere, un limbo preciso e solitario, conficcato dentro l’epistolario fra noi e il nostro sogno. Sei rimasta la custode del mio tempo sulle righe, l’unica che legge senza guardare ed osserva la mia consapevolezza immobile. Chiedo di te ai simulacri del ricordo ed invece dovrei farlo direttamente con una ragazza che, studiando, si è nascosta dentro il suo involucro di crisalide. Ti vedo bellissima camminare fra le nuvole di cui conosci senz’altro l’essenza e, talvolta, l’amarezza. La tua storia, quella che solo tu puoi raccontare, la scriverai quando sarai tornata una bambina lontana e non la donna inquieta di oggi. Vorrei essere ancora in vita per poterla leggere: forse avrei anche l’ardire di correggerla per poi riderne assieme. Forse potrei goderne pensando che in essa c’è anche una parte di me come sempre accade agli intelletti che s’incontrano. Ho sempre un giorno prossimo davanti, sarà uno di quelli da leoni, me lo ha detto una stella ieri sera ed io le ho creduto. Il capitare dei gesti non è cosa da poco, accade poi che diventi il tuo gesto, diventi la traccia che non conosci, il passo che non vedi e che lasci quando ti affidi all’ora che ti riporta a casa e chiudi la porta su quel che non sai. Stavolta la stazione è veramente deserta mia signora. Pare che niente e nessuno abbia mai sfiorato queste pareti e guardato questi binari, ma io so che non è così. Da ogni testamento si esce a nuove dimensioni e il tempo di risorgere può crescere in modi insospettabili. Sto annusando la scia della fragranza sottile che hai lasciato dietro di te. Porta molto lontano. Un giorno mi dissero che era stupido soffrire: me lo disse uno sciocco sempre allegro che temeva la sua fine ma il dolore è un tempo diverso dentro i nostri giorni, un filtro severo e impietoso che riporta l’esistenza ai suoi colori originali. Leggendoti lentamente pensavo anche che il dolore è ottima letteratura e silenzi colmi di sè…non sono certo che esso non si possa condividere ma capirti è un dolore prezioso, vorrei che fluisse per sempre. E' certamente la proiezione dei nostri desideri ma solo la prima parte di essa, un’anteprima; col tempo l’amore ci acquisisce al significato profondo del nostro desiderio ed è così che possiamo “essere” oltre il desiderio. Da quel momento in poi lo specchio ci rimanda anche facce del nostro istinto che prima erano celate dalla passione tout court. Ricordi il Caravaggio? Il Merisi, in fondo, cosa faceva? Portava la luce di dentro fuori…e il mondo vedeva aspetti che aveva sempre sotto gli occhi ma senza quella luce erano invisibili. Un solo attimo fissato sulla retina a suggellare un patto non scritto, una consuetudine che ci fa antichi e soli. In fondo è un miracolo anche questo.

sabato 28 giugno 2025

LETTERA NEL VENTO -

Che ne sai dell’alito caldo che scende talvolta sulla mia terra? Io l’ho solo presagito ieri sul far della sera, un breve momento di attesa poi è iniziato. Ma tu non puoi sapere che lo scirocco è un confine nella nostra vita, un paletto da cui ripartire alla ricerca di una nuova frescura. Eri bellissima davanti al mare che ci vide diversi. Immobile il tuo corpo, l’abito unica parte viva su di te. Il vento caldo come sciroppo denso ci avvolgeva ed io sognai un’estate lontanissima e sospesa come questa quando ogni cosa doveva cominciare. Ma tu non sai, hai voluto dimenticare, io non potevo fissato dal vento in un sogno inutile ma necessario. Tu non hai bisogno di sapere che il tuo violino suonò per quest’ uomo un accordo lunghissimo che è rimasto su di me che sono una viola, compongo solo una biscroma al giorno. Troppo poco per difendersi dallo scirocco che avvolse le nostre vite. Tu sei altrove adesso, se una finestra dondola o sbatte la chiudi per non ricordare quella costa, il mare e il nostro silenzio.

giovedì 26 giugno 2025

THE TIME THEY ARE A CHANGIN' -

L’estate di 47 anni fa di questi tempi era pronta a partire ed io stavo per mettere le mani sui miei 17 anni. Gran cosa! Il suo fiato caldo lo sento ancora: ha ingaggiato con me una gara sul tempo, un gioco che non dà nessun premio ma ti brucia dentro e che devi per forza restituire fuori. E’ una mano tesa fra le generazioni ad affermare che la bellezza e la poesia salveranno questo mondo. Crederci o meno è una possibilità come tante altre, la forza dell’amore e della vita continueranno per la loro strada e avremo tutti l’occasione di piangere, un giorno, per la felicità di esserci, di averci creduto o di doverci ricredere. Le estati sono tutte emozioni rapprese che si sciolgono sotto il sole e scivolano insinuandosi sotto la nostra pelle, sembrano diverse ma in realtà assumono semplicemente la forma della nostra vita in quel momento. L’estate è sempre l’identica rivelazione che sale sul palcoscenico con presentatori diversi, la sua apparizione suscita reazioni varie che vanno dagli applausi scroscianti all ’incredulità silenziosa, ma la sua bellezza è sempre maestosa, a me lascia ogni volta incantato, senza fiato. Nei suoi paesaggi aperti, nei suoi colori decisi e in quel senso di prospettive eterne e ripetute che ci fanno ritornare sempre all’idea che tutto è possibile, che è solo questione di tempo e i cieli si apriranno per lasciarci vedere l’azzurro e le mille strade che lo attraversano. Abbiamo di nuovo diciottanni e nessuno potrà cambiare le cose, è come il primo amore, se ne andrà ma cambierà la nostra vita per sempre. Ogni estate diventiamo maggiorenni ed è una sensazione indimenticabile, sgusciamo fra i nostri errori e le nostre vittorie, ce le rimiriamo e facciamo finta di credere che sia per sempre, condividerle con gli altri è una fede. La mia estate a guardarla da questo blog sembra perfetta e unica, punto di riferimento epocale e sociale; persino la musica suona in modo speciale. E’ quella di Bob Dylan, è la poesia della vita che ci conduce e ci salverà dalle altre stagioni e dalle mille morti che ci attendono ai lati del sentiero. Ma è un trucco, le note sono sempre le stesse ed io vesto ogni volta un abito perfettamente conservato e mi ci pavoneggio dentro. Nessuno di noi può dimenticare l’estate in cui siamo diventati grandi e ci siamo chiesti qual’era la nostra direzione e dove ci avrebbe condotto il profumo di quella ragazza incontrata la sera prima; nessuno può dimenticare che la musica era esattamente quella che avevamo dentro, crescere è stato solo un momento, la rincorsa per tornare ogni volta al punto di ripartenza. Così sciamiamo via incoscientemente ma in fondo lo sappiamo che niente e nessuno potrà fermare la forza dell’amore e la bellezza della scoperta: 
The time they are a-changin’

ALLA FINESTRA -

Gentile signora, 
affacciato qui alla finestra dei giochi di vita non mi sento troppo a mio agio: eppure è una posizione privilegiata. L’ho scelta, o dovrei dire trovata, varie volte in questi ultimi trentanni, mi ha fatto un gran comodo lo ammetto: osservare e non essere contagiato dal brulichio delle posizioni e degli errori ad esse conseguenti, pensare di poter evitare sciocchezze che da qui sembrano palesi incidenti di percorso e da lì in basso invece appaiono come luminose alternative esistenziali. Credo che il germe dello snobismo culturale sia proprio in questa idea e che l’arroganza che da essa fisiologicamente ne discenda, oltre un certo punto, non sia più contrastabile. Eppure come vede non ho trovato ancora il coraggio di allontanarmi da questo punto di osservazione. 
Anni fa trovai una prospettiva nuova e da questa finestra molte azioni, sia le umane in senso stretto che quelle più propriamente culturali, emergendo dalla nebbia confusa delle contraddizioni sociali e storiche, mi apparivano nette, decifrabili, francamente ineccepibili. Mi resi conto dopo che la nebbia intesa come indecisione e confusione permeava ogni aspetto della mia prospettiva, che ero io a voler vedere i contorni della vita in modo edulcorato e quindi falso. Ero io a sceglierne i connotati, io a controllarne l’evoluzione spostandomi impercettibilmente ogni volta che la luce radente e cattiva del sole ne metteva in mostra aspetti scomodi e incongruenti con la mia idea-visione dell’esistenza. Un’operazione facile e senza interlocutori: dalla finestra potevo sciorinare il mio biasimo o la mia benedizione urbi et orbi senza subirne le conseguenze, il mondo poteva continuare a rumoreggiare là sotto, signora, io sceglievo se considerarne le lacrime o le gioie da un luogo privato e asettico, un’oasi eterna e silenziosa, un privilegio costruito ad arte e come tale bugiardo e irriverente. 
Si sbaglia senza tregua gentile signora, si nutre l’illusione di essere fuori, la si definisce fortuna, casualità, intelligenza, lucidità, la si chiama con termini logici, ci si inventa una preveggenza che ci blocca prima di compiere gli ultimi passi falsi prima del baratro. Non mi sento più di proporre altri termini, non ci credo più e sto per chiudere la finestra. La osservo con attenzione silenziosa, quasi commossa, è stata per lungo tempo il viatico con cui ho difeso le mie incongruenze, il succedaneo imbastito a proteggere il sapore vero di alcune mie sconfitte; il sogno non mi corrisponde più e mostra tutte le sue crepe gentile signora, imbastire un’altra leggenda mi stuzzica molto…poi guardo gli infissi polverosi di questa finestra e devo ricredermi sulla novità perenne di cui ci nutriamo ogni giorno. Le confesserò di possedere in archivio alcuni momenti indimenticabili, se lei sapesse con quanto amore li ho nutriti, quante volte ho provato a farli uscire dal cofanetto del mio intimo e li ho lucidati per mostrarli nella loro luce migliore. La scrittura che esercito dall’infanzia non è altro che questo, è una parte, la più scontata, dell’intuito ineffabile di raccontare l’affetto incondizionato per lo spirito di quest’uomo affacciato alla finestra. 
Non c’è il tempo di riconsiderarsi al solito modo oggi preferisco usare il mio libero arbitrio e passare dal lei al tu, dovrai abituartici signora: appena scenderò a valle non aspettarmi con tutto il fardello di opinioni costruite in questi anni, non servono e sono ciarpame…il tuo come il mio cui facevi riferimento. Vuoi vedere le pietre nascoste dentro il mio cuore? Spogliati e torna umana, non ci dobbiamo niente, secoli fa erano solo diamanti grezzi, scaglie di cristallo taglienti, ci siamo feriti e ritratti, adeguare i riflessi pensammo fosse il sistema migliore per comunicarci la nostra solitudine. Se sei ancora della medesima opinione non farti trovare sull’uscio al pianterreno, dillo anche alle altre, io vado a sciogliermi altrove. Il carbonio si è trasformato in miriadi di gemme, scrutarle da solo sarebbe una imposizione stupida, mi confronto da una vita con cose stupide. La finestra la chiudo per questo.

martedì 24 giugno 2025

DUE LETTERE SPECIALI

A SE il Principe Tomasi di Lampedusa, presso “Il Gattopardo” 
 Scrivo a te per primo perchè sei stato il primo e un inizio è sempre indelebile. Stavi sul secondo ripiano della libreria, un po’ nascosto, probabilmente invisibile per lo sfarzo e il “volume” degli altri vicini. Ricordo bene la copertina verde con le incisione dorate dei “canti” di D’Annunzio e le edizioni in carta patinata dei classici di Leopardi, Pirandello, Svevo… fu scorrendo le dita sui loro dorsi sporgenti che ti vidi la prima volta. Un amore non nasce mai per caso, ci vuole l’atmosfera di un giorno d’estate silenzioso e raccolto, la visita a casa del Barone Pottino la sera precedente e l’aver ascoltato, con finta indifferenza, i discorsi che fluivano tra un caffè e un gelato alla mandorla; serve il talamo su cui consumare un rapporto che preme alla porta della tua vita mentale. Ti ho letto che ero troppo giovane e tu ti approfittasti di me. Celando il tuo vasto orizzonte dentro un’edizione economica della Feltrinelli, con quel disegno raffazzonato del Gattopardo sulla copertina mi ingannasti ed io annegai in una lettura sensuale e totale. Fosti il primo libro che carezzai lungamente e portai con me, nascostamente, nei luoghi che normalmente frequentavo, in una tasca o nel borsello. Mi facevi compagnia ed era una sensazione sconosciuta fino ad allora: pagine come un interlocutore, come un’amante da ritrovare e scoprire ogni volta. Mi accompagnasti nel mondo della lettura adulta, quella fatta di continui addii e ritrovamenti, di certezze eterne nascoste dentro l’animo. Una grande lezione di sintassi non solo letteraria; la sensazione del “capolavoro” l’ebbi subito senza riuscire però ad esprimerla in alcun modo. E fu probabilmente questo stimolo continuo ed inespresso a farmi fornicare con caparbietà fra le pieghe della tua pelle di carta; ti ho amato dal primo momento, ti ho desiderato sempre, non ho ancora finito di leggerti. Temo che la conclusione della lettura possa in qualche strano modo coincidere con “quell’altra” conclusione che nell’ottavo capitolo si erge sublime e definitiva come solo un grande amore può fare. Ti abbraccio fino al nostro prossimo incontro. 

To Mister Stephen King, co “Hearts in Atlantis” 
D’accordo lo ammetto: ti ho snobbato per lungo tempo, inutile ritornare sull’argomento in modo polemico. Delle storie “horror” e di quelle a metà strada fra il soprannaturale e il metafisico con effetti speciali ne ho fatto sempre volentieri a meno. Mi hai fregato, e c’è un motivo profondo. Sei una meretrice, anzi una puttana e mi hai fottuto; e ti dirò che sono contento che tu lo abbia fatto. Ho trascorso tutta la mia maturità a sfuggire dalla mia inquieta giovinezza, e tu lo sapevi. Non dico che mi nascondessi, solo non sapevo dove metterti e questo era un problema serio, sono troppo ingombrante anche per me stesso e tu hai aspettato. Quando finalmente ti ho riaperto la porta mi è mancato il fiato. Sai cosa sei stato? Userò le parole di un grandissimo scrittore italiano baby, quelle che non si possono tradurre perché la musica cambierebbe baby. Sei stato “l’amore che strappa i capelli dal viso” (F.DeAndrè), l’adrenalina tornata a scorrere. Lo sapevi maledetto e hai messo su il disco che conosciamo entrambi, a hard rain’s a gonna fall e appresso a quello si sono aperte le gabbie della memoria e niente era cambiato…nemmeno la rabbia e il sangue, l’amore, l’orgasmo e la timidezza. Io sono tornato là dentro con quegli anni a cantarmi una musica mai dimenticata. Ti ho snobbato, lo ripeto e tu mi hai sbattuto in faccia che “in fondo sono solo informazioni” e che “se mi fossi comportato bene avrei avuto anche il dolce”. Dammi pace baby, ho posato la testa sul tuo grembo e non ho più voglia di andare da nessuna parte, lascia che la musica prosegua oltre e lascia aperte le pagine. Le sfoglieremo ancora perché “Alle volte un po’ di magia sopravvive”, osservò lui. “Non saprei metterla diversamente. Io credo che siamo venuti perché sentiamo ancora alcune delle voci giuste. Tu le senti? Le voci?” “Qualche volta”, ammise lei quasi malvolentieri. “ Qualche volta sì” –

lunedì 23 giugno 2025

CENTO PASSI, MILLE PASSI, NESSUN PASSO IN AVANTI -

Nel maggio del 78 io avevo 26 anni e trasmettevo in una radio libera di Palermo: mi piaceva da impazzire, forse troppo. Ero, guarda caso, uno dei più duttili e alternativi Dj di quell'ambiente, sicuramente il meno inquadrabile dal punto di vista ideologico. In quegli anni trasmisi quasi di tutto, dal rock aggressivo dei Led Zeppelin, alle ballate di De Andrè, dalla chitarra di Jimi Hendrix a quella dei Dire Strait, non intaccavo, non intaccavamo la struttura sociale della città. Peppino Impastato sì. Noi mandavamo musica, camminavamo per le strade di Palermo e Palermo continuava ad essere divorata dal cancro al suono del rock 'n roll: il grande sacco della città era quasi al termine nel senso che non c'era più quasi niente da mangiare. Una delle più belle e interessanti città del Mediterraneo ridotta ad un ammasso fetido di cemento e sfruttamenti gestiti da una classe politica identificabile col gotha della criminalità organizzata. Le radio private palermitane trasmettevano De Gregori (il compagno De Gregori) gli Area il primo Battiato... Radio Aut cercava di trasmettere l'alternativa e l'opposizione con mezzi economicamente e tecnicamente risibili. Francamente non c'era partita e nessuno di noi aveva realizzato il problema; voglio dire che Impastato era un isolato, era come se la sua azione fosse un fatto di nicchia politica e ideologica avulsa da tutto il resto. L'isolamento umano e intellettuale che costerà la vita a Dalla Chiesa, Falcone, Borsellino e altri con Peppino Impastato ebbe ancora più facilmente ragione di lui. Oggi probabilmente, con questo Web e questa diffusione di voci, sarebbe stato diverso o comunque più difficile; eppure una delle componenti intellettuali che danzarono in modo macabro sulla fine annunciata di questo ragazzo è ancora presente, l'ho capito ieri mentre scrivevo di lui. Abbiamo ancora l'orribile e subdola tendenza a considerare certe morti come un fatto di parte, certe morti come la fisiologica conseguenza di un preciso percorso culturale e, spesso, il nostro cordoglio è finto, di circostanza, non ci appartiene perchè non è la nostra guerra o la nostra idea. Peppino fu pianto in silenzio dai suoi pochi amici, il mondo delle radio libere di allora non disse nulla, la città non disse nulla, la gente si girò dall'altra parte. I cento passi erano solo all'inizio. La libertà, il confronto, la divergenza di opinione, la musica e la cultura sono un patrimonio di tutti non hanno, come ancora accade oggi, una tessera di partito o movimento: questo è il motivo per cui io oggi, molto più di 34 anni fa, piango quella corsa verso la civiltà e la dignità. Oggi la sento più mia che in quegli anni in cui scivolavo assieme ai miei coetanei tra le pieghe di un'ideologia colorata e vuota, la stessa di ora se la guardate bene. Ci tenevo a dirlo ora che che ancora una volta siamo davanti ad una svolta epocale rischiando di rifare come minchioni i medesimi errori.

domenica 22 giugno 2025

SANTITA' -

Non ho mai capito la logica che presiede alla pletora di articoli e dichiarazioni che hanno riempito i media e il web di discorsi accomodanti verso l'Islam e, di conseguenza, verso il suo irrompere sempre più cospicuo dentro i confini europei. Un atteggiamento senza senso, senza conoscenza e senza cultura nè storica nè sociale. Un continente che naviga (navigava meglio) verso la laicità e la liberazione femminile che improvvisamente impazzisce e, per bocca dei suoi intellettuali più affermati, si consegna alla sua morte definitiva, ad un medioevo crudele e imbarazzante. 
La componente femminile degli occidentali ha le maggiori responsabilità, un giorno non sarà sufficiente dichiarare - Avevo valutato male- Coperte dal burqa o nascoste dal velo le parole arriveranno già spente. Il Vaticano infine, dimostrando una pochezza spirituale e culturale infima, si è allineato con questa tendenza al ribasso continuo. Dobbiamo meravigliarcene? La Chiesa cattolica entra da sempre a gamba tesa nelle questioni civili italiane, anche quando l'Italia era solo "un'espressione geografica" (Metternich). Posto che adesso sia qualcosa di diverso e che non si veda l'enorme passo indietro fatto negli ultimi 20 anni sulla strada dell'unificazione seria e della civiltà condivisa, le recentissime uscite dei pezzi grossi vaticani non devono sorprendere. Un altro fallaccio ma stavolta da espulsione! Bergoglio dovrebbe innanzitutto cambiare postura e camminare ritto, dovrebbe pensare da buon pastore alle sue pecore e ai fedeli cristiani che soffrono e vengono massacrati in varie parti del mondo. Potrebbe riflettere in modo meno supino ai rapporti con l'Islam e pretendere rispetto vero e non peloso per un'eventuale salvaguardia quando la mezzaluna sventolerà sulla penisola. Bergoglio è un populista da due lire, gli piace fare il piacione, essere ossequiato dai suoi sodali, adulato da chi fino a un momento prima ne diceva peste e corna; forse vuole vedere sparire dai blogroll di molti siti la frase " Io aborrisco il Papa!" 
Quale prezzo è disposto, Santità, a pagare e a far pagare alla fede che lei professa? Quale futuro sta contribuendo a costruire per la civiltà occidentale? Cosa vuole fare di Roma, non le basta lo scempio cui è già sottoposta? Personalmente ho già dato e ne scrivo, spero che siano molti gli uomini che sappiano vedere il diavolo dietro i suoi scarponi da viandante distratto. Amen.

venerdì 20 giugno 2025

NON E' VERO -

Non è vero che mi faccio capire e, allo stesso modo, ciò che scrivo non mi rappresenta quanto io vorrei. Il blog è comunque il confine più vicino ai territori del mio spirito, da lì in poi devi inventarti pioniere. Tutta la mia vita, quella che conta, l’ho trascorsa in un confronto impietoso tra i miei sogni, i miei impulsi e il mondo che m’era toccato di vivere; dopo i 16 anni sono saltato su così tanti campi minati che oggi dovrei essere solo uno storpio, un povero corpo mutilato da ferite non più ricomponibili. 
La libertà, la democrazia, l’amore e la rappresentanza, la società e perfino la storia, tutto questo enorme e composito fardello di idee non sono mai entrate dentro di me in modo naturale e piano: ogni anelito è stato sempre filtrato dalla cultura della mia generazione e dalla musica che ne era la più diretta emanazione. E ciò non l’ho mai compiutamente digerito! Non c’è un concetto più avversato da quelli che nel ’68 avevano 16-18 anni di quello di un tutor, dello stronzo di turno che ti dice cosa e come. E non c’è stata una generazione che, invece, ne avrebbe avuto più bisogno, seduta al limitare fra mondi completamente diversi, divisi da spaccature micidiali, lontani per sempre su tutto. Io non amavo, bevevo letteralmente i testi e il suono delle chitarre dei gruppi rock che stavano “devastando” il panorama musicale di quegli anni: lì c’era ciò che volevo o credevo di volere o, meglio, ciò che qualcuno mi aveva fatto credere io volessi. Altri tutor insomma ma più subdoli perché immensamente amati. 
Questa è la storia della mia vita: guardare la luna indicata dal dito…e prendere sempre una sberla come se fossi ugualmente un’idiota. Pare che non sia possibile vivere, pensare, amare senza l’ausilio indispensabile di una qualche droga, di un aiuto sintetico che ti apra la mente su orizzonti nuovi e validi. Pare che non sia attuabile alcun valido intervento sulla realtà umana e sociale senza scannare qualcuno o sacrificarlo sull’altare di interessi più alti e nobili. Annuivamo nel ’70, continuiamo a farlo oggi. Io sono un uomo sfinito dalla schizofrenia di un’esistenza accompagnata da gente che artisticamente amavo e politicamente e ideologicamente invece non digerivo. So perfettamente che non ricucirò lo scollamento, non certo in questa vita e il senso d’impotenza mi sta uccidendo lentamente e poi sono solo, giustamente e lucidamente solo. C’è una luce particolare oggi sullo Ionio, un filtro di perla per ammorbidire gli spigoli dei miei umori confusi. Anche ora la musica di uno degli artisti che ho amato di più mi porterà fuori dalle secche di questa sera infinita, sarà il dito che ti indicherà la mia luna, ti dirà le parole che io non so pronunciare e avrò la speranza che l’amore in assoluto ricomponga il dissidio di sempre e che scriverlo non sia stato inutile. De Andrè ha già iniziato a raccontare del chimico che conosceva la legge che permetteva agli elementi di convivere senza scoppiare e ancora una volta chinerò la testa per ringraziarlo d’avermi fatto guardare oltre.

IL TEMPO OBLIQUO -

Questo è un tempo obliquo, questo degli ultimi anni: quello che mi divora sul blog e sulla carta. Non posso dire che non mi appartiene ma vorrei che se ne andasse altrove a intorbidare il cuore. Trascorro una buona parte del mio tempo "ludico" su queste pagine elettroniche ma il mio tempo vero è altrove su un poggio a scrutare una porzione di azzurro marino incuneata tra il monte e la vigna; il tempo diretto è un ragazzo senza freni che mi ha raccontato altre storie con altre parole e altre intenzioni. Credevo di incontrarli tutti i visi che ho amato: gli uomini e le donne che, secondo me, dovevano essere tutti qui a vagare fra queste colline e il mare. Si sono celati nel gran corpo della terra: di loro hanno lasciato, qua e là, soltanto l’eco sciolta del loro essere persone…e mi hanno dato una lezione di asciuttezza e dignità. Ho sperato che ci fosse almeno lei, doveva esserci e ho gridato il suo nome al vento ma non è tornato niente indietro: così sono inciampato nei sogni e, adesso, andarmene sarà solo un’illusione. Voglio dirvi che ho camminato tanto da scordare il punto di partenza, che mi sono finto mille altre cose da quest’uomo che guarda ostinatamente davanti a sé. Non c’è astio, non c’è rammarico ma ho capito che non sono più qui: ho capito di avere un senso solo col vento vero sulla faccia, con i ricordi che non si possono raccontare. Quel che scrivo va letto in questo modo, tornare o sparire in un modo o nell'altro fa parte del mio DNA; le pagine hanno questo terribile pregio, restano, le riapri e le usi come trastullo della mente e del cuore quando più ti aggrada. Ciò che si scrive testimonia sempre qualcosa o qualcuno, annullarle equivale ad uccidere definitivamente chi le ha prodotte. Io non le ho annullate.

mercoledì 18 giugno 2025

APERTURA E CHIUSURA

Non avevo pensato di chiudere, avevo solo abbandonato questo guscio su una sedia e il corpo altrove. Ma entrambi soffrivano per la reciproca lontananza. Poi qualche giorno fa, ripassando su queste pagine ho capito che non era giusto, che comunque questo guscio era carico dei miei umori e che doveva vivere, a modo suo, con un tempo diverso, ma doveva vivere. 
Devo confessarvi che spesso negli ultimi mesi ho avuto fortissima la volontà di sempre: cancellare tutto! Eliminare del tutto le tracce del mio passaggio perché questa parte di me, che dovrebbe essere la più intima e amata, mi fa star male da morire. Ho pubblicato tutto o quasi, è trascorso molto tempo, gli scritti non sono mutati, hanno ancora almeno un residuo di valore? Non devo dirlo io permettetemi. Io posso solo dirvi che si è girata la pagina in modo definitivo: siamo così fragili! Qui ho pubblicato il cuore di tutto ciò che ho pensato e scritto in rete e per la rete; ho sempre avuto un atteggiamento contraddittorio e ondivago verso il web e mi pare evidente che esso non poteva essere digerito dalla gran parte dei blogger. Lo ritengo fisiologico. Partendo dai miei furori e dalle mie cocenti delusioni ho fatto in modo che la scrittura dei miei testi vivesse al di là della mia reale presenza accanto ad essi: nel mio progetto questo insieme potrebbe continuare così come lo state leggendo per altri mesi poi finirebbe per inedia. Io potrei già non esserci più in tutti sensi ma se esiste un modo di restare è questo. 
Scrivere e lasciare queste righe che possano essere rivedute, rilette e riconsiderate. Non cercate un nesso logico, concettuale o temporale preciso in ciò che leggerete, non c’è altro che assoluta libertà qua dentro, solo un riflesso di una dimensione che per intero non poteva starci tutta su una pagina ma che ad essa fa riferimento. Riguardo quello che ho scritto negli ultimi ventanni, alcune cose sono così legate alla mia intimità che adesso mi meraviglio di averle palesate in pubblico: forse molti problemi sono nati da questo eccesso di confidenza, ma non ho mai saputo scrivere diversamente. Domani scendo sotto Siracusa, piano piano, mi fermo dalle parti di Vendicari, scelgo un eucalipto frondoso mi appoggio al suo tronco e mi perdo sulla linea azzurrina del mare. Voi non potrete vedermi ma sorriderò. 
 Vincenzo Riccobono

lunedì 16 giugno 2025

TI SCRIVO-

Ho trascorso una vita a scrivere anche molto prima di incontrarti e tu non mi hai mai letto. Ci siamo avviluppati per un certo numero di anni in una relazione vissuta, gesticolata, agitata dai nostri umori, urlata a muso duro talvolta. Ma mai scritta Se ti avessi scritto e tu mi avessi letto avremmo capito prima e meglio, ci saremmo amati sul serio e non ci saremmo sfiniti nell’impotenza di non sapersi parlare. Quando mi fermo e il tempo è meno crudele con me oppure riesco a licenziarlo meglio, tu arrivi sempre e io mi chiedo da dove spunta questa necessità di te cui non vorrei dare significati tali da farti fuggire lontano in modo definitivo. C’è troppo sapore della tua pelle e dei tuoi capelli nella mia testa, troppo suono della tua voce e troppa inguaribile nostalgia dello sguardo che avevi quel pomeriggio lontano. C’è troppa letteratura vera per questo ho deciso di scriverti. Ora sei abbastanza lontana per leggermi senza il fastidio di dovermi poi dire, so per certo che mi leggerai stavolta; non per capire ciò che non serve più capire ormai. Mi leggerai per amarmi senza condizioni e senza un tempo definito, senza il fastidioso imperativo di pensarmi diverso, mi leggerai per come eravamo. E sorriderai, certamente penserai che in molte cose non sono cambiato e che le mie sospensioni esistenziali finiranno per corrodermi del tutto: che importa? Nella lettera non c’è alcuna richiesta solo una constatazione amichevole di incidente amoroso in una stagione che fu comunque nostra, non c’è altro che la traccia inconfondibile di un desiderio espresso, realizzato e poi perduto. In quello che ti scrivo c’è solo quiete, i furori sono un vecchio amatissimo film che forse potremmo rivedere assieme ridendone con le mani allacciate. Non ti scrivo per raccontarti della scrittura, lo faccio per dirti che ti ho amato e sei rimasta tra le righe. Conserva la lettera
 Enzo

ORTIGIA -

Stasera ad Ortigia la sera scende placida e piena di richiami sonori: dai grandi alberi sul lungomare gli uccelli si apprestano a lasciare spazio alla notte che viene. Non lo sentite l'eco lontana della voce di Dionisio... non avvertite il passo lento di Archimede sospeso dentro i meandri della sua mente in ricerca costante? Stasera il mare è un breve sentiero tra questa costa e l'altra immaginata, sognata, pensata. Studiata. E ' vicina la Grecia, comune lo Ionio profondo e ventoso, comuni i visi e i colori: questo è il Mediterraneo signori, la nostra fonte unica in cui si sono rispecchiati i sogni delle generazioni per millenni. Questi siamo noi e i nostri miti terribili e fanciulleschi assieme, la nostra poesia di vivere e pensare di essere eterni nel ricordo degli altri, nella letteratura degli altri. Noi siamo la Grecia vecchio e sordo professore dei soldi mancanti, tu forse no ma noi veniamo da lì.

Και εξασθένισε "ΤΟ ΦΕΓΓΑΡΙ  
 Και «το φεγγάρι εξασθενίσεικαι οι
 Πλειάδες
και η νύχτα είναι στη μέση,
και ο χρόνος περνά
 Στηρίζομαι και στη μοναξιά.
Μου παίρνει μια επιθυμία να πεθάνει,
και να δείτε τις ακτές του Αχέροντα
καλύπτονται με τη δροσιάτο λουλούδι
 του λωτού.


E’ tramontata la luna,                                                                         
e le Pleiadi;                                                                                             
e la notte è a metà,                                                                              
ed il tempo trapassa,                                                                            
ed io riposo in solitudine.                                                                   
E mi prende un desiderio di morire,                                              
e di vedere le rive dell’Acheronte                                                   
coperte di rugiada, fiorite di loto.                                                    
                                                                                                                     
                                                                                                             
Questa era Saffo professore. Una vita rincorrendo lo spread, il mercato, la finanza dei numeri astronomici…e incomprensibili. Una vita legata al niente spacciato per assoluto indispensabile. E che dire dei “sacerdoti” che predicano questa nuova religione? Gonfi di arroganza e soldi, una quantità di denaro rubata ai poveracci cui chiedono sacrifici. Sacrifici! Macelleria sociale, nessuna solidarietà, solo parole vuote da qualsiasi angolo, di destra o di sinistra; parole vuote e perfide, merda secca sulla quale si dovrebbero rifondare le nuove nazioni della nuova Europa. Il Web cosa dice? Cosa fa? cosa scrive? IO SONO LA GRECIA, IL SOGNO. LA CULTURA, LA VITA. VOI SIETE SOLO ZOMBI E SARETE SPAZZATI VIA PRIMA O POI.

sabato 14 giugno 2025

SCHIUMA DI AQUILONI


Schiuma d’aquiloni
è la traccia che resta.
Ho diviso la notte dal giorno,
ho creduto di poterlo tenere
con me.
Ho gridato a tutto il mondo
la mia conquista.
Non era vero, l’altro da me
mi ha beffato.
Doveva farlo e si è allontanato
alla nascita,
ora va e viene nel mio orizzonte
e non posso dire se sia mutato
e come.
Ansia talvolta, stupore sempre
ma l’amore non è finito:
è solo volato via per sfiorarmi,
sfigurarmi,
per sconfiggermi e tradirmi.
Gioca padrone con la libertà e la luce
poiché le comprende entrambe.
Qui sotto non sarebbe restato
a farsi maltrattare dal tempo.
A volte desidero che mi uccida
presto, sono stanco di privarmi
del suo abbraccio.
Lo cerco con lo sguardo
lo intravedo mentre simula
indifferenza.
Mi dice d’attendere pochi istanti:
appena trent’anni, un lieve gesto di vita…
ride mentre lo dice.
L’amore è volato via.

venerdì 13 giugno 2025

CHI MI HA LASCIATO –

C’è una dimensione a parte ormai tra quello che scrivo e quello che si intravede dietro la scrittura….Molti discorsi sono veramente fuori tema ma forse non è colpa di nessuno. E’ estremamente difficile comunicare in modo consono la propria dimensione intellettuale esattamente così come si forma dentro una persona e lo è altrettanto percepirla e “discuterla” laddove tale discussione abbia un senso che vada al di là di un affermazione di esistenza. Niente di ciò attiene al blog normalmente inteso, si avvicina semmai ad un’esperienza da diario cartaceo o addirittura da libro; nessuna di esse vuole sostituirsi nel mio caso a questo blog, qui ed ora. Ho subito un lutto gravissimo e profondo ma chi mi ha lasciato possedeva con naturalezza la misura e la simpatia, nel senso greco della parola, del comunicare e scriverne. Io appartengo ad una generazione più nevrotica e conflittuale che ha mantenuto il fuoco e i suoi effetti devastanti senza avere in cantina buona legna da ardere. Ma non mi rassegno. Mamma, vedi come tutto indifferente scorre? Non sono riuscito a fermare le nostre parole, queste come le altre della nostra vita. I tramonti ad occidente, i libri nella grande libreria di casa, le foto di famiglia e questo vecchio ragazzo che adesso è rimasto solo. Arrivederci mamma. Insegnami a scrivere daccapo con l’allegra pazienza che io mai ho posseduto, sarebbe il miglior modo di spiegare a certi personaggi che si spacciano per il sale culturale del mondo cos’è la vera cultura e come saziare la sete del sapere. Mi dicesti di scrivere molto tempo fa perché sapevi e mi avevi custodito tu. In fondo non ho fatto altro che seguire il tuo desiderio. Era il nostro modo ed anche adesso che le battute cambiano e il ritmo segue un’altra armonia sento che continuare è un buon modo di rispondere alla sua carezza. Farò cosi e lei mi sorridera’… Sorrideva sempre.

giovedì 12 giugno 2025

NON SO PIU' SCRIVERE –

Ciò che scrivo è per tutti, nel senso che è aperto a chiunque voglia leggerlo ma in realtà non è a volte neanche mio ma di un altro Enzo che scrive per ricordarsi di esistere mentre bussano alla sua porta raccontandogli cose che con la sua esistenza non c’entrano nulla. 
C’è una dimensione a parte ormai tra quello che scrivo e quello che si intravede dietro la scrittura….Molti discorsi sono veramente fuori tema ma forse non è colpa di nessuno. E’ estremamente difficile comunicare in modo consono la propria dimensione intellettuale esattamente così come si forma dentro una persona e lo è altrettanto percepirla e “discuterla” laddove tale discussione abbia un senso che vada al di là di un affermazione di esistenza. Niente di ciò attiene al blog normalmente inteso, si avvicina semmai ad un’esperienza da diario cartaceo o addirittura da libro; nessuna di esse vuole sostituirsi nel mio caso a queste pagine qui ed ora. 
Ho subito un lutto gravissimo e profondo ma chi mi ha lasciato possedeva con naturalezza la misura e la simpatia, nel senso greco della parola, del comunicare e scriverne. Io appartengo ad una generazione più nevrotica e conflittuale che ha mantenuto il fuoco e i suoi effetti devastanti senza avere in cantina buona legna da ardere. Ma non mi rassegno. Mamma, vedi come tutto indifferente scorre? Non sono riuscito a fermare le nostre parole, queste come le altre della nostra vita. I tramonti ad occidente, i libri nella grande libreria di casa, le foto di famiglia e questo vecchio ragazzo che adesso è rimasto solo. Arrivederci mamma. Insegnami a scrivere daccapo con l’allegra pazienza che io mai ho posseduto, sarebbe il miglior modo di spiegare a certi personaggi che si spacciano per il sale culturale del mondo cos’è la vera cultura e come saziare la sete del sapere. Mi dicesti di scrivere molto tempo fa perché sapevi e mi avevi custodito tu. In fondo non ho fatto altro che seguire il tuo desiderio. Era il nostro modo ed anche adesso che le battute cambiano e il ritmo segue un’altra armonia sento che continuare è un buon modo di rispondere alla sua carezza. Farò cosi e lei mi sorridera’… Sorrideva sempre.

martedì 10 giugno 2025

NOTO -

Seduto su una delle panchine di ferro poste all’ombra dei grandi ficus che ornano la piazza dinanzi alla Porta Reale di Noto, pregusto già lo spettacolo che mi attende. La città nuova costruita dopo la scossa tellurica che devastò senza ritegno tutta la costa orientale della Sicilia alla fine del 600, fu pensata come una sequenza di scenografie su cui far muovere la gente da protagonista, ognuno col suo ruolo. Anch’ io ne diventerò parte appena varcata la soglia della Porta Reale perchè Noto è stata fatta di ragione e di magia: la ragione è quella delle linee dritte, della simmetria, della prospettiva ingegnosa che crea luoghi deputati al movimento e alla vita. La magia, quella scaramantica, dovuta alla creazione di ornamenti visti come dal tremore di un terremoto. Non so perchè ma ho sempre avuto l’idea che fosse questo lo scopo dell’architettura di questa città: dare movimento e fuga ai palazzi scongiurandone così, magicamente, la distruzione. Tutti gli abitanti, passata l’angoscia e il terrore della terra che trema, credo dovettero avere una grande superbia, un grande orgoglio e un alto senso di sè come singoli cittadini e come comunità se vollero e seppero ricostruire miracolosamente questa città con la sua topografia e le sue architetture barocche che adesso si vanno svelando folgorate dalla luce e dal sole. E’ questo un mondo fatto di luce e calore, di ombre vitali come oasi di frescura in un cammino fatto di visioni luminose e assolute. A Noto come in altre città dell’isola IL BAROCCO è una suprema provocazione fatta di movimenti incredibili, di apparenti e aeree fragilità, è la sfida ad ogni futuro sommovimento della terra. Le facciate delle chiese, dei conventi, dei palazzi pubblici e privati se li guardi di sbieco tremolanti nell’aria calda del mezzogiorno sembrano la rappresentazione pietrificata del terremoto stesso e della sua lezione di vita: la distruzione volta in costruzione, la paura in coraggio, l’oscuro in luce, l’orrore in bellezza, l’irrazionale in fantasia creatrice, il caos in logos infine. Che è sempre il cammino della civiltà e della storia. Fermo davanti all’amplissima scalinata del Duomo osservo il “palcoscenico” con un nuovo sentimento dell’anima contro lo smarrimento di questi anni infami, della solitudine, dell’indistinto, del deserto…contro la vertigine del nulla. Qui su queste scene bruciate dal sole e, più tardi, infantasmate dai pleniluni, tra quinte di pietra intagliata, tra fantastiche mensole che sorreggono palchi, loggiati e tribune, tra allegorie, simboli e emblemi, tra rigonfi di grate e inferriate, tra cupole, campanili e pinnacoli, in questa scenografia onirica e surreale, io sono diventato un’altra cosa. Potrò mai dire quanto possa trasfigurarsi l’animo umano dentro la gioia e la magia di questo connubio di costruzione e immagine, di struttura e ornamento, di ritmo e melodia? E’ questa la ragione di tutto quel che ho scritto in questi anni: la ragione e la fantasia, la logica imperiosa e il magico incontrollabile. So che è qui la chiave fra prosa e poesia che mi racconta della vita e dell’universo, “di questo incessante cataclisma armonico, di quest’immensa anarchia equilibrata” (L. SCIASCIA)

ROSSO PORPORA -

A cosa diavolo serve un posto come questo? Sono stanco di girare in tondo e controllare, adeguare per trovare comprensione (intelligere), smorzare per ammorbidire gli spigoli, presentarmi col cappello in mano e il freno tirato per scrivere sempre un po’ meno di quanto io sappia fare. 
Sono nato alla pagina scritta una sera d’estate di 53 anni fa davanti al mare delle saline fra Nubia e Salina grande e la verità è che i ragazzi certe cose le sanno dire…le dimenticano dopo; col tempo fanno di tutto per dimenticarle. Era un tramonto vero, di quelli che i pittori arrossano di arancio e qualche sbuffo rosa e viola, di quelli che i poeti usano per arrampicarsi sull’Olimpo. Noi eravamo lì, seduti sul muretto, dando le spalle al campetto dove giocavano a tendersi le prime ombre. Il mare ha avuto un ultimo fremito di colori, poi si è spento in un altro blu, che non era ancora quello della sera. – E’ bello stare qui- lei ha detto ed io ho riso, perché i ragazzi certe cose non le sanno dire, ma lei quella volta aveva detto proprio così. 
Io ero felice abbastanza quanto basta. A casa la sera ero infuocato, febbricitante, e lo scrissi ed era tagliente e improvviso come il bacio che lei mi aveva dato. Nascemmo alla vita nel rosso porpora di un giorno che muore, ci addormentammo dentro il blu della sera che incedeva sicura di sé. 
Cominciò con due piccole bugie: 
– E’ qui che abiti allora? 
– Sì solo d’estate però. 
Mentimmo per timidezza o perchè golosi del tempo che la menzogna ci regalava? Mi guardavi senza guardarmi 
– Che fai adesso 
– Arrivo fino alla torre…vieni anche tu. 
E mi sembrò una proposta di un’audacia sconsiderata; la osservai sfrontatamente per darmi un tono e vedere l’effetto della mia proposta. Mi costò una fatica immane. 
– Sei il figlio dei milanesi? 
– Sì, ma i miei sono siciliani. 
E mi incamminai, senza contare i passi, senza considerare i suoi…mi persi assieme a lei e ci regalammo un silenzio ininterrotto fino al muretto di pietra. 
– Che studi?- per non chiedere l’età 
– Entro al Ginnasio l’anno prossimo 
– Io sono al terzo anno- le dissi mentendo per avere tempo, più tempo per la mia virilità confusa. 
– Hai un accento strano, parlano tutti così da te? 
Non fece nessun accenno alla mia bugia, vi passò sopra semplicemente come una cosa inutile da mettere da parte, ma sorrise. Mi rivelò il gioco delle futilità dette solo per gioco. Le parole: una stessa nota in chiave diversa. Non fu una menzogna e nemmeno una parziale verità. Fu un richiamo, solo una voce davanti al mare. 
– Ti chiami Enzo, ho sentito ieri tua madre che ti chiamava. 
– Hai fatto attenzione. Perché? 
– Nuotavi bene ed eri solo. Non hai amici qui? 
Lo presi per un buon inizio e pensai che il suo muoversi, il suo sedersi, il tono della sua voce fosse un bisbiglio che potevo avvertire soltanto io. Passammo un gran tempo di noi a raccontarci bugie per coprire la verità dei sensi; il giorno cadde quando le sfiorai le ginocchia, la mia vita cambiò quando le toccai i seni di ragazza. Mentire per non morire, per prolungare all’infinito la prima volta dell’amore, e tenersela per sé. Un bacio ansioso prima, lunghissimo dopo. 
– Me ne dai un altro?” 
– Sì, è stato bello. 
– Quanti ne hai dati finora? 
Non le dissi che era il primo. Non le dissi più nulla e mi feci portare via dal sogno. La notte, tardi, mi leccai la ferita calda di quelle labbra e sciolsi il tempo delle parole su una pagina: la prima. Di sera penso ogni tanto alla rincorsa affannosa e febbricitante di questa condivisione. Suona con un’eco serena sulla nudità di questa solitudine; se me ne libero resto, oggi come ieri, nudo e vero.

domenica 8 giugno 2025

LATIFONDI -

Forse ci siamo ho pensato ieri: il cartello stradale indicava Catania Km. 102, l’orologio le 11 e 05. Due settimane prima stessa zona altro mondo: era la Sicilia della primavera sempre più rara. Quella delle campagne dell’interno tutte verdi, del cielo bizzarro e cangiante, perfettamente intonato al mio umore di quei giorni. 
Lungo le rive del fiume Salso file di canne color grigio-verde e margherite, margherite ovunque ad occhieggiare dalle radure e dai grandi campi di grano. Una festa per gli occhi e il naso intasato dai pollini. 
Non mi era chiaro il motivo per il quale mi ero fermato al km. 102; andavo di fretta, autostrada vuota, autoradio accesa, testa pesante. La piccola area di sosta mi ha accolto senza sforzo. Sono sceso e mi sono guardato attorno, nessuno…il distributore era a 25 km con il suo caffè e la sua edicola, i panini dai nomi inventati e dal prezzo “favoloso”, ma vuoi mettere la goduria di urinare in libertà all’aria aperta ? 
E’ stato a quel punto che senza radio, senza aria condizionata, senza acqua, senza nessuna di quelle simpatiche cose che ci coccolano ogni momento, ho pensato: ci siamo.
Giallo, tutto rigorosamente giallo a perdita d’occhio: sulla destra, controluce, Enna sospesa a 1000 metri sul suo altopiano, davanti sfumata nella caligine l’Etna, la sua immensa V capovolta a dire comando io, controllo io, siete piccoli e inutili. 
Per rafforzare il concetto una fumata sulla schiena lato nord a vomitare parte del fuoco interno. Ho girato il volto indietro per farmi toccare dal vento caldo del sud: gli ho detto “ sei di Agrigento cumpari, veru?” ma chiddu mancu marrispunniu. Aveva altro da fare, calcinare la terra, inchiodarla al tempo e non dargli tregua. 
Forse 35 gradi? Il mulo un km più in là ne stava sentendo di più ma, in ogni caso, sull’isola è arrivata Lei, e quando arriva meglio guardarla in faccia e tentare un accordo per i 35 di oggi e i quasi 40 di domani. 
Ho pensato ai fatti miei e mi è piaciuto, qui non posso raccontarveli per esteso: sono i pensieri di un vecchio ragazzo che ha sperato che la sospensione temporale durasse in eterno. Perché no? Inchiodato al sole come questa terra, i pensieri racchiusi nell’angolo più fresco della testa in attesa del piacere della sera, in attesa di un’altra occasione di un altro carretto colorato. 
Stanotte, a Catania, ho deciso di getto, me ne vado a mare sotto la Timpa di Acireale a guardare la luna; un vecchio mi disse una volta che… di sira a’ montagna di focu ci va’ cunta al mari tutti i pinseri di Diu. E io là sarò, attentissimo a non perdere manco una parola. Questa idea mi piace e sorrido ai latifondi che mi guardano attoniti: poggio la mano sulla portiera… e mi scotto, la lamiera è già bollente. 
Fine della sosta, al distributore di Sacchitello un caffè e per favore…aria condizionata.

sabato 7 giugno 2025

LUCIO AD MEMORIAM 15 ANNI DOPO – Dedicato alla morte indotta di Lucio Magri

Io non potrei farlo, mi manca il denaro. Se volessi chiudere i rapporti con questa vita piena solo di delusioni e sconfitte intellettuali e ideologiche, se volessi smettere di sopportare ogni giorno il dolore oscuro e immanente della mancanza di amore e sesso, NON POTREI FARLO. Non come ha fatto lui. Ma mi domando: solo davanti ad un precipizio o a un tubo del gas, oppure davanti alla bocca di una pistola noleggiata con gli ultimi spiccioli, avrei poi il coraggio di farlo? Oppure preferirei glissare adducendo la scusa che “bisogna lottare e non arrendersi mai” bisogna “credere e aver fede” che la vita è bella ed è “un dono”. Ammesso che siano scuse. Ho conosciuto decine di depressi/e nella mia vita, decine di esseri inchiodati ad una vita misera e senza luce, molti anche più giovani di lui: ho sentito il fiato gelido dell’inutilità delle idee e dei sogni sfiorarmi il viso…lo sento anche adesso mentre batto queste righe. Basterebbe prendere il laccio emostatico che ho sul ripiano, una siringa da 5cc di quelle che uso per le irrigazioni canalari e trovare con facilità la mia radiale superiore. Una specie di casa della morte fai da te. Questo post potrebbe essere un buon epitaffio, forse addirittura preferibile alle sue lettere agli amici perchè più correttamente impersonale e anaffettivo. Con una serie di pillole di potenza crescente in una bella stanza pulita con vista lago in Svizzera e i mille imbrogli burocratici già risolti dalla ditta specializzata è molto più facile. Sei meno solo! Ma non ho il coraggio di farlo in modo artigianale. Non riesco a liberarmi dall’idea dei miei ragazzi e del pessimo esempio che lascerei loro contraddicendo a tutta l’educazione sociale civile che gli ho dato. Non riesco a reggere all’idea della mia compagna tradita in modo definitivo e inappellabile, alla sua disperazione per i piccoli teneri e pochi gesti di tenerezza che ancora riusciamo a scambiarci. Io non sono lui. 
PS: Non riesco ad accettare la superficialità dogmatica con la quale si straparla di testamenti biologici, diritto alla morte, cliniche per l'eutanasia et etc..

venerdì 6 giugno 2025

IN CORO -

La stanchezza è il segno della mia permanenza qui, una condizione rinvigorita ogni volta che sfoglio le pagine virtuali dopo aver abbandonato per la stessa ragione quelle cartacee. 
Il web ribadisce la stessa uniformità di atteggiamenti culturali e mentali dei media ufficiali e il medesimo ostracismo per coloro che sono fuori da QUEL CORO in specie. C’è un silenzio (inconsapevole?) che aleggia sul ronzio diffuso di questa gran macchina che si è messa in moto da una ventina d’anni; internet docet, il nuovo libro sacro figlio della gran madre comunicazione imperversa sui nostri sensi. Il ronzio copre l’enorme massa di utenti, li ipnotizza e li seduce: infine su qualsiasi argomento diciamo tutti la medesima cosa. E’ la nostra felicità, il nostro rifugio e la nostra difesa dal cancro del dubbio. Nonostante l’immanenza di alcune problematiche e la loro continua presenza nel nostro orizzonte comunicativo e culturale io non leggo mai un’analisi seria sulle differenze culturali in divenire tra islam e cristianesimo per esempio. Non leggo mai un riflessione attenta sulla condizione femminile nella gran parte dei paesi musulmani riguardo a istruzione, sanità, diritti civili, famiglia etc etc. Non leggo mai di attentati, armi e sangue con il loro codazzo di insulse giustificazioni, a causa di blogger che mettono il Papa all’indice in prima pagina sui loro blog, di prese di posizioni dure e violente per le centinaia di fedeli cristiani massacrati in Africa o di buddisti uccisi dal governo cinese in Tibet. 
Sono certo che anche voi leggete di altro. Il banner con la scritta “Cave Papam” è scomparso definitivamente dall’ascesa al soglio pontificio di Francesco I e le attenzioni sono semmai puntate sul nuovo corso ideologico- teologico del Vaticano: non c’era da secoli una benevolenza così forte nei confronti di una fede che non fosse quella islamica. Però in un simile idilliaco contesto un regista in Olanda (la civilissima e libera Olanda) può essere scannato per strada a causa di un film sulla schiavitù femminile nell’islam, l’ambiente intellettuale di una sinistra dominante in campo culturale non fiata sull’abominevole condizione sociale della donna nei paesi a prevalenza musulmana. Tutti zitti, defilati e silenziosi oppure pronti a giustificare in mille modi questo tipo di situazioni. Tutti e tutti i più intelligenti e progressisti, tutti quelli e quelle che per decenni hanno fatto in Europa un chiasso inimmaginabile contro il Vaticano, i preti, il cattolicesimo, la Fallaci. Pare che gli unici orribili testimoni di un maschilismo schifoso e criminale siano rimasti gli europei post- cristiani (perché il cristianesimo sta scomparendo se non lo avete capito); per tutti gli altri sono pronte decine di perfette giustificazioni etnico sociali, approfondite analisi storiche per le quali e con le quali la condizione femminile nell’Islam non è poi tanto peggiore da altre simili sul pianeta! Un applauso a questo escamotage è il minimo. 
Ma io credo che un rogo è un rogo, una lapidazione è una lapidazione, l’impossibilità di adire a una scuola ad un medico per una ragazza, l’obbligo di vestirsi in un certo modo, di non poter uscire se non accompagnata da uno stretto congiunto, la sottomissione insomma completa alla figura maschile di riferimento, siano questioni che attengono ad un solo ineludibile concetto: la schiavitù! La libertà di leggere e informarsi senza rischi per la propria incolumità non ha un colore politico e non può averne neppure uno religioso, non in occidente dove da secoli si consuma lo scontro tra laicismo e religione. Certo i fatti di Charlie Hebdo hanno una valenza particolare, in essi il germe della mancata misura e del rispetto vi ha preso piede ma la stessa ferocia sarcastica nei confronti del cristianesimo in generale e dei suoi rappresentanti non mi risulta che abbia mai indotto nessuno a commettere stragi. Come potremmo analizzare la cosa? I musulmani hanno una fede più vera? Hanno un dogmatismo naturalmente portato verso estremismi cruenti? I cristiani sono solo degli ipocriti o, nel migliore dei casi, delle semplici animelle? Personalmente invece di ascoltare o leggere le improbabili minchiate del rappresentante dell’islam di turno vorrei vedere un confronto aperto con un cardinale o un teologo cristiano. 
Mi farebbe piacere ascoltare l’opinione schietta di una donna di sinistra magari con una storia di femminismo e liberazione femminile alle spalle su questi argomenti. Utopie, solo desideri incompiuti, i media suonano tutti la stessa musica. E dopo aver ascoltato la sua opinione vorrei osservarne i gesti conseguenti. Una donna occidentale non può in alcun modo favorire il diffondersi della cultura islamica sulla sua terra, è una cosa folle e senza senso che contraddice alla dignità sia personale che di genere. Una donna occidentale può benissimo criticare aspramente i libri della Fallaci ma non può seguire il sentiero che la conduce al suo annullamento come essere umano per ridurla solo a oggetto di piacere riproduttivo. 
A me sembra un discorso di una chiarezza disarmante…evidentemente mi sbaglio. Non mi nascondo che la mia possa ritenersi un’idiosincrasia o un blocco mentale ma devo comunque tenerne conto perché a tutt’oggi l’atteggiamento dell‘islam nei confronti della cultura generalmente intesa (letteratura – musica – pittura – etc etc) non l’ho mai digerito. Lo stesso dicasi per quello sul mondo femminile. Non sono mai stato l’uomo che è capace di sorvolare nell’ambito di “più ampie e nobili prospettive”, nelle assemblee e nelle discussioni di una vita non digerisco la propaganda, l’ideologia pelosa e fine a se stessa, le adunate oceaniche e i trend di stagione. Amo il confronto senza remore e la reciprocità. Quest’ultima alla fine è diventata un handicap insormontabile per abbracciare in toto le idee che la sinistra in generale porta avanti da 30 anni nel mondo. 
Non mi è possibile leggere o ascoltare discorsi sul confronto o scontro di civiltà provenire da pulpiti capziosi e scorretti intellettualmente; non posso più ascoltare la negazione di fatti evidenti o della logica più banale. Io NON amo la cultura occidentale che mi ha generato con i paraocchi e so bene quanti roghi si sono accesi nel vecchio continente dal medioevo in poi: io non voglio ritornare a quella stagione dell’umanità, voglio leggere tutto e di tutto, voglio continuare ad ascoltare la musica del vecchio e del nuovo continente, voglio ammirare senza vergogna i maestri del rinascimento italiano, commuovermi davanti ad un Tiziano o un Raffaello o un Caravaggio o davanti ad un cupola del Bernini. Voglio che il frutto dell’intelletto umano che ha prosperato e si è diffuso su questo mondo continui ad illuminarlo e non accetterò mai per convenienza politica o ideologica il mercimonio e la sudditanza nei confronti di altre culture. Io rispetto non per patito preso ma per analisi e riflessione. La convenienza non ha mai fatto per me sui blog e fuori.

giovedì 5 giugno 2025

VIA DOMENICO COSTANTINO 5 GIUGNO -

Sono nato nella tarda mattina di 73 anni fa, a Palermo in via D.Costantino al num. 16, una parallela della via Notarbartolo. Sono nato a casa di mio nonno Vincenzo perché allora era questa la consuetudine assieme a tante altre ormai svanite nel tempo. Quella casa la ricordo bene, sento ancora l’odore buono del tabacco che don Vincenzo fumava seduto nell’ampia poltrona del soggiorno; la finestra spalancata sul grande giardino della villa del barone Pottino. Di alcune cose la memoria non ci lascia mai, sopravvive in una dimensione a se stante, indipendente da tutto. Lo sguardo d’acciaio di mio nonno e le sue mani enormi ad alzarmi il mento quando combinavo qualcosa fanno parte di essa. Concretamente non c’è più nulla di loro e di quel mondo; la camiciaia in via G. di Marzo se n’è andata 30 anni fa, le sue camicie su misura erano l’unica cosa che faceva sorridere don Vincenzo…le camicie in purissimo cotone bianco e forse qualcos’altro. Ricordo mia madre, un tempo lontano per entrambi, - Ho il cuore scuro- mi diceva certe mattine. Ed io - Perché?- Per niente- mi rispondeva, ma poi si correggeva- -Per i ricordi-. Adesso sto qua e in cento altri luoghi; mi appartengono tutti e non ce n’è uno che non mi sfugga. Ho visto girare il sole sul cortile della mia vita e non mi è piaciuto: ma la luce di questo tramonto placido riesce ancora ad inebriarmi Una vera cittadinanza però non riesco a trovarla o, forse, non mi basta questa isolana. I siciliani stanno aggrappati orgogliosamente alle loro coste ma guardano fuori in un impossibile desiderio di comunione. Oggi mi deve bastare il mio riflesso sulla vetrina del negozio in via Libertà: a lui confesso la mia incredulità, li ho compiuti davvero! E’ bastato distrarsi un attimo, una piccola svista e l’anno in più è già qui…e io non sono preparato. Non lo sono stato mai.

mercoledì 4 giugno 2025

LA REPUBBLICA FRANATA SUL LAVORO -

Trentacinque anni fa non avrei mai scritto così, trentacinque anni fa leggendo il passato vedevo il presente e, pur con qualche dubbio, me ne compiacevo, era un’altra Italia, un incedere diverso sulle strade della vita, un modo ormai sconosciuto di affrontare ciò che viene comunemente detto il “retaggio del passato”. 
Fu un’eredità difficile e scomoda: perdemmo una guerra in cui mai avremmo dovuto entrare e lo facemmo con un armistizio separato semplicemente ridicolo diventando da un giorno all’altro alleati dei nostri avversari e viceversa. Una cosa inaudita, un bizantinismo furbetto che ancora pesa sulla nostra reputazione in campo internazionale. La guerra tracimò in una sanguinosa guerra civile, misconosciuta e negata per molti decenni in seguito, la guerra civile non poteva che lasciare ostilità e feroci risentimenti da una parte e dall’altra. Il referendum fece quel che poteva e mostrò palesemente la spaccatura che divideva il paese in due. Erano le notti tra il 2 e il 3-4 giugno 1946: Referendum Monarchia- Repubblica, spoglio finale: Monarchia 10 milioni e 362 mila voti, Repubblica 12 milioni e 182 mila voti. Sorvoliamo sulle questioni dei brogli elettorali, sono ormai superate ed inutili: meglio osservare piuttosto la grande differenza fra le due Italie uscite più o meno a pezzi dal conflitto e dai due anni di diversissimo destino storico e sociale. Un regno del sud dove una monarchia da barzelletta attese il compiersi degli eventi senza eccidi, né sangue né resistenza. Un Nord occupato da tedeschi, angloamericani e repubblichini, dilaniato da una tragedia bellica e sociale su cui ancora ci si ostina a sorvolare. Il sud votò compatto per la monarchia, il Nord per la repubblica. 
Se dovessi guardare all’atteggiamento tenuto dai Savoia ritengo che più di 10 milioni di voti siano una vergogna, se invece dovessi riflettere a questi primi 60 anni di regime repubblicano non posso fare a meno di pensare che più di 12 milioni di voti siano stati malriposti. In ambedue i casi non vedo cosa ci sia oggi da festeggiare, infatti la gente fondamentalmente se ne frega: forse che non sia stata adeguatamente educata? O forse la quantità di menzogne e mezze verità è stata negli anni tale da annichilire anche gli spiriti più battaglieri. La storia ha sempre dimostrato che al di là delle intenzioni più radicate o bellicose vi sono poi dei cambiamenti che si impongono fisiologicamente come fossero emanazione di un destino sociale e umano non governabile: la stesura della nostra carta costituzionale fa parte di questi eventi. 
Era il 22 dicembre del 1947, la Magna Charta che regola il nostro paese fu votata con 453 voti favorevoli e solo 62 contrari, una maggioranza senza discussioni. Una grande e fortissima ossessione ne condizionò la nascita e la stesura: quello che era accaduto nei trentanni precedenti e vorrei ben dire! Non so quanti di voi abbiano mai riflettuto che questa Carta che ci regge da 70 anni è stata partorita dalle due forze che più si distanziarono dalla nascita dell'Italia Unita e cioè il cattolicesimo e il marxismo. E' inutile siamo un popolo di originali a oltranza. Resta comunque il fatto che nei 600 costituenti c'era un unico e solo desiderio sopra a tuttI : impedire la nascita di un nuovo fascismo! La procedura con cui si formò la Costituzione è fu l’esempio perfetto di come complicare le cose sia per l’oggi che per il domani: dai 600 costituenti si estrapolò una commissione più ristretta di 75 persone a sua volta suddivisa in molte sottocommissioni specifiche per la redazione delle varie parti da cui era formata, una specie di sistema windows con meno precisione però. Cito Piero Calamandrei e mi tolgo dall'imbarazzo: " Quando si arriverà a montare questi pezzi usciti da diverse officine potrà accadere che ci accorga che gli ingranaggi non combaciano e che le giunture del motore non coincidono: e potrà occorrere qualche ritocco per metterlo in moto." 
La cosa più evidente e voluta, fu la creazione delle premesse per una debolezza congenita del potere esecutivo: questa impronta di parlamentarismo certe volte fine a se stesso e esasperato ci ha portato alla situazione odierna, partitocrazia e lottizzazione. La giungla di leggi e leggine, la lentezza biblica e irritante di certe decisioni e il ritardo cronico dell'iter legislativo sono esattamente lì, dentro quella Costituzione che appena dici di voler toccare salta in aria assieme ai suoi difensori ad oltranza. Negli anni in cui questa cosa fu organizzata andava fondamentalmente bene ai due attori principali, Dc e Pci e si capisce perchè: la Dc capiva che con una Costituzione così il fronte popolare avrebbe avuto più di un problema a fare il gran ribaltone (quello per cui i partigiani comunisti si erano battuti tra il 44 e il 45) il Pci perchè sapeva che una democrazia debole la puoi infiltrare e inquinare più facilmente. Ambedue si sono divertiti finora a castrare l'esecutivo facendo pensare alla maggior parte degli italiani che il voto è fondamentalmente una presa in giro cioè esattamente quello che è. 
Francamente nemmeno il modo in cui è scritta mi piace: qual’è il significato dell’assioma iniziale "è una Repubblica fondata sul lavoro"? C'è un tanfo retorico condito anche da un che di minuziosamente notarile da lasciare quantomeno perplessi, una smania di voler regolare e controllare tutto col risultato in 60 anni di non riuscire a regolare e controllare quasi niente. Adesso c'è anche l’ingresso in partita della Comunità europea e mi sembra che tutto il gioco sia diventato pleonastico. E’ da scartare ogni cosa? Non c’è alcun momento da salvare nel lavoro delle menti che scrissero la Costituzione? Non mi sento di pronunciare una condanna senza appello, il testo del 47 in alcuni punti è di una nobiltà luminosa, forse troppo poco concreta e sognante un’utopia impossibile da realizzare ma vi sono situazioni nelle quali non puoi giocare al ribasso e partire da posizioni mediocri, il contratto sociale di una repubblica nascente fa parte di questo tipo di situazioni. Però a distanza di anni e nel confronto con la realtà quotidiana di oggi non è possibile nascondersi che questa costituzione risulta lacunosa e contraddittoria su molte cose e soprattutto è INTERPRETABILE! La Corte Costituzionale ha dato nel tempo sugli stessi articoli interpretazioni varianti a seconda dei tempi e delle occasioni, a me non sembra che ciò garantisca qualcuno. Gli articoli sciorinati uno dopo l’altro e tutto l’insieme hanno il profumo inconfondibile di una naftalina pretenziosa: si cerca di far combaciare idee politiche, sociali ed economiche francamente inconciliabili tra loro, una sorta di amalgama tra liberismo e socialismo, tra metafisico sociale e anarcoide e realismo parruccone perbenista. 
Mi dispiace per Roberto Benigni ma certe cose vivono solo nell’atmosfera rarefatta di uno studio televisivo. Chi ha detto che non si possa rileggere con attenzione questa legge fondamentale per il Paese? Ipotizzarlo è scandaloso? Vi sono due modi per approcciarsi a dei testi “sacri”, in entrambi i casi serve cultura in senso stretto e in senso lato: puoi beartene come se da essi emanasse un effluvio divino oppure guardarli con la medesima severità con la quale furono scritti. E affrontarli una volta per tutte! Ho letto in questi giorni molti testi in molti e diversi blog, l’argomento difesa della nostra Costituzione era discusso con dovizia di particolari e retorica: i testi fondamentalmente erano tutti uguali, tutti meravigliosamente sofferti, lungimiranti…democratici e propositivi per una spinta a ritrovare le proprie radici sociali di libertà e giustizia. Sono diventato epico anch’io come vedete. Cito: ” La Costituzione della Repubblica Italiana è la legge fondamentale dello Stato italiano, ovvero il vertice nella gerarchia delle fonti di diritto, e fondativa della Repubblica italiana. Approvata dall’Assemblea Costituente il 22 dicembre 1947 e promulgata dal capo provvisorio dello Stato Enrico De Nicola il 27 dicembre 1947, fu pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 298, edizione straordinaria, del 27 dicembre 1947 ed entrò in vigore il 1º gennaio 1948.” DA WIKIPEDIA. 
Invidio molti di voi al punto di aver pensato spesso in questi ultimi anni di essere pronto per un ospedale psichiatrico o una struttura per disturbati mentali: se la mia posizione è così difforme dalla generalità del mondo con cui mi confronto, se la mia sensazione di fine contrasta in modo tanto brusco con la positività di crescita e miglioramento che ho letto da voi... se infine, intellettualmente, la genesi storica che ha portato alla Costituente è da me valutata in maniera completamente diversa dalla vostra mi sembra di poter dire che o ci hanno dato testi diversi, o viviamo in nazioni differenti o io sono appunto uscito di senno. Considerate i primi 4 articoli della costituzione: Art. 1 L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione. Art. 2 La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. Art. 3 Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese. Art. 4 La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società. Sono solo i primi quattro dei dodici FONDAMENTALI, andate a leggerli e leggetevi attentamente anche gli altri; poi in silenzio considerate il presente in cui vivete, considerate i settant’anni anni trascorsi dalla firma del prof. De Nicola. Dopo a mio parere, qualunque sia la vostra età, dovreste provare almeno un senso di profondissimo smarrimento. Praticamente nessuno degli obiettivi proposti con tanta pensosa saggezza e serietà è stato raggiunto e mantenuto, la Repubblica Italiana è franata sul primo, basilare principio fondante, il lavoro! Per pietà tralascio la considerazione di altri importantissimi punti, l’art. 5… il 7…il 9 (a leggerlo oggi è una barzelletta!); L’unica cosa che è riuscita perfettamente ai padri costituenti è quella di aver creato un sistema che rende impossibile legiferare in tempi normali e adeguati alle necessità contingenti. Il testo per intero, dalla fondazione sul lavoro ai patti Lateranensi, dalla promozione della cultura e dell’arte al bicameralismo perfetto è solo una pena infinita. Essa recita in modo chiaro che questa Repubblica è abortita alla nascita e assieme ad essa anche lo spirito di nazione cui ufficialmente aspira. La festa del primo maggio 2016 con una disoccupazione giovanile ai massimi storici, una crisi asfissiante, l’impossibilità per la quasi totalità del ceto medio- basso di adire ad un minimo di tranquillità economica, la caduta verticale dell’imprenditoria, del commercio e dell’artigianato, con intere regioni meridionali dalle terre abbandonate, con un decadimento assoluto di prospettive sociali e etiche, la festa è giornata di lutto! Io non ho alcuna intenzione di abbandonare la terra dove sono nato, non potrei sopravvivere con questa ulteriore angoscia nel cuore. Ho letto in questi giorni in molti siti la citazione di ampi stralci del discorso di Calamandrei ai giovani della società umanitaria di Milano nel gennaio del 1955; le sue frasi sono state sbandierate come un vessillo vincente e inoppugnabile di prosperità e futuro partendo dalla base storica dei fatti della Resistenza cui mezza Italia non partecipò. 
Ecco io sono stanco di discorsi memorabili, di contorsioni storiche per adeguare il proposito enunciato alla sua mancata attuazione. Sono stanco di questo paese e di molti suoi orpelli (anche la blogosfera lo sta diventando) sono stufo e nauseato anche di aver scritto quello che state leggendo. Io non ho praticamente più nulla cui attaccarmi ma non so come, rimango italiano: così come leggete, senza una vera speranza, con una tastiera, la lingua che conosco e tutto il resto. Sarò franco: per questa Repubblica ho ormai un interesse molto limitato, è andato progressivamente decrescendo negli ultimi 20 anni e recentemente si è ulteriormente ridotto. Non è solo una sensazione di “pelle” che basterebbe comunque perchè è mia ed è sincera, al suo interno ci sono motivazioni sociali e storiche che io a quasi 65 anni d’età non posso per coscienza disattendere. Vi saranno ovviamente le celebrazioni e i discorsi consueti. LE SOLITE COSE. Completamente scollate dentro l’animo della gente, a Sud come a Nord, dalle vicende e dai desideri reali di coloro che abitano e vivono in questa penisola. I nostri rappresentanti(?!) in Parlamento celebreranno un paese che non c’è. Una nazione divisa e costruita sull’inganno e su falsi storici perpetuati sino al ridicolo, una Nazione che cerca da 150 anni di proporsi come unita ma che si sta sfaldando di giorno in giorno inseguendo un mito federalista che copre male il reale desiderio di andare ognuno per i fatti suoi. Dovrei aprire un altro Blog per parlarne come si deve ma sono stufo di tutto, anche delle chiacchiere in rete e poi massacrare un sogno non è il mio sport preferito. 
Io sono certamente vecchio ed inadatto al veloce e pulsante mondo del blog, che infatti mi sta sempre più velocemente espellendo per la seconda ed ultima volta, però ero legato a figure di classe e compostezza diversa. Rispetto la scrittura perchè meno effimera e trasformista della parola e spero che di molte cose scritte nel tempo non si perda il senso e la memoria sia che esse vengano vergate sulla Costituzione di uno stato nascente o sulle pagine di un testo sacro o su quelle virtuali di un blog. Me la tengo stretta questa speranza, essa sta diventando un trastullo per pochi intimi.